Siria, un conflitto dimenticato

Dopo quasi quattro anni di guerra civile, l’esercito siriano regolare è indebolito e l’opposizione sempre più divisa. Cosa succede in Siria? Niente di particolarmente incoraggiante dopo Ginevra II, ultimo tentativo di negoziato avvenuto lo scorso Febbraio tra il regime siriano e l’opposizione, poi tristemente fallito. A Marzo 2015 il conflitto entrerà nel suo quarto anno, ma nessuna negoziazione politica si prospetta all’orizzonte. Sul terreno, da più di un anno, non ci sono in realtà nuovi fronti aperti. Da una parte, il regime non ha più i mezzi, il suo esercito è sfinito, conta molti morti tra i suoi ranghi e tantissimi disertori hanno raggiunto l’opposizione.

Il regime è indebolito, ma cerca di tappare le falle. Le linee di trincea non dovrebbero subire molti mutamenti, conservando il regime la zona intorno a Damasco, con le città di Hama, Homs a Latakia. L’opposizione ha in mano l’est e il nord della Siria. La popolazione sopravvive in condizioni estreme e non è né pronta né ambisce a lanciarsi in una nuova rivolta. Da parte dell’opposizione, l’Esercito Siriano Libero (ASL) è una nebulosa i cui membri variano in funzione dei finanziamenti che ricevono, e questo malgrado le pressioni americane sui Paesi del Golfo affinché cessino di finanziare i ribelli. Dall’inizio del conflitto, le divisioni dell’opposizione siriana rimangono una costante. Ma gli islamisti del Fronte Al-Nosra, ramo siriano di Al Qaeda, dominano sempre più quest’ultima. Senza dimenticare il terzo attore, l’Isis (o Daesh in arabo) e il suo Emirato, che si è ritagliato una grossa parte del Paese e assolda i frustrati dell’opposizione. Ognuna di queste parti ha i suoi protagonisti esogeni. L’opposizione ha gli jihadisti arrivati dalla Cecenia, dai Paesi del Golfo, dall’Algeria, dalla Tunisia, dall’Europa, che vanno ad aggiungersi ai combattenti siriani ed iracheni. Il regime, può ancora contare sugli iraniani, i combattenti di Hezbollah libanese, gli esperti russi e gli sciiti iracheni. Tutti partecipano alla consolidazione delle postazioni dell’esercito. Ma le frontiere rimangono congelate. Neanche la conquista dello scorso 15 Dicembre da parte del Fronte di Al Nosra di due basi militari del regime siriano, Wadi-Al-Deif e Hamidiyé, nella regione di Idleb,  ha modificato in modo significativo le linee del fronte.

Sul piano diplomatico, spicca l’attivismo russo. Mosca cerca di riunire il regime e i diversi gruppi dell’opposizione per intraprendere dei negoziati senza preliminari, con l’obbiettivo di mettere fine alla guerra. Il Presidente siriano è favorevole a “rispondere in modo positivo agli sforzi della Russia per trovare una soluzione alla crisi”. Alcuni diplomatici europei, da dietro le quinte, hanno fatto trapelare che l’iniziativa russa andrebbe appoggiata perché è un approccio positivo, ma Francia e Gran Bretagna non condividono lo stesso entusiasmo e avanzano molte condizioni. Gli esperti traducono questo atteggiamento come il riflesso di due ex potenze mandatarie, che si aggrappano all’inviolabilità delle frontiere nate dagli accordi Sykes-Picot, quando è probabile invece che queste andranno in mille pezzi. Ci sono stati vari incontri tra russi, siriani, e iraniani a Mosca e Teheran. Il Presidente Bachar Al-Assad potrebbe recarsi a Mosca in Gennaio. L’Iran ha già aperto una linea di credito di 800milioni di dollari al governo siriano. Nel frattempo, Staffan de Mistura, inviato speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite, tenta di portare a termine la sua missione: ottenere una attenuazione della violenza. Un mandato pragmatico e molto meno ambizioso di quello del suo predecessore Lakhdar Brahimi.  Le perdite sono state molto pesanti sia nei ranghi dell’Isis che tra i civili. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (OSDH), più di un migliaio di jihadisti sono stati uccisi in tre mesi in Siria per i bombardamenti della coalizione guidata dagli Stati Uniti. I bombardamenti avrebbero ucciso 1046 membri dell’Isis, in maggioranza non siriani, 72 membri del Fronte Al-Nosra,  e 52 civili. La Siria detiene, per il terzo anno consecutivo, il primato più sanguinario riguardante i giornalisti, con 17 morti nel 2014, e 79 dal 2011. Una ventina di giornalisti, per la maggior parte locali, sarebbero tenuti in ostaggio dall’Isis. Il numero di vittime (civili e combattenti) della guerra civile potrebbe arrivare a 200.000.

Le forze dell’Isis sono arrivate al confine dei territori popolati da una maggioranza sunnita. Gli è difficile spingersi in territori curdi e sciiti perché, anche se vincessero sul piano militare, la gestione delle zone conquistate sarebbe difficile, se non impossibile. Le sue forze – stimate tra 30mila e 40mila attivisti – non sono sufficienti ad effettuare un controllo efficace sul terreno. I bombardamenti delle forze di coalizione impediscono alle truppe dell’Isis di raggrupparsi per effettuare operazioni importanti. Le colonne di 4×4 sono obbiettivi troppo facili per l’aviazione. Inoltre, le forze coalizzate si attaccano alla logistica del movimento, cosa che fa venir meno ciò che li rendeva forti: la mobilità. Lo stratagemma utilizzato oggi da parte degli jihadisti dell’Isis è confondersi con la popolazione. Ma segnali di insofferenza arrivano dalle popolazioni sottomesse alla loro occupazione. La presenza degli jihadisti stranieri non viene accolta bene, particolarmente in Siria dove gran parte della popolazione considera che il movimento sia arrivato dall’estero (cosa in realtà esatta visto che l’ISIS è nato nel 2006 in Iraq).

In un primo tempo l’Isis ha tentato di arrivare “al cuore e allo spirito” delle popolazioni sunnite garantendo loro l’istruzione (islamica), beni di prima necessità, salute e sicurezza. Ma alle regole della sharia è subentrato il terrore. Non dobbiamo sottovalutare neanche il Fronte Al-Nosra, che sta lentamente gettando le basi per un “suo” Califfato nel Nord-Ovest della Siria. A Sud è molto attivo alla frontiera libanese e sull’altopiano del Golan. Oggi l’Isis è in aperto conflitto con il Fronte Al-Nosra, ma questo non vuol dire “per sempre”. Episodi di cooperazione tra leader non sono rari. La “storica” Al- Qaeda persiste con la sua idea di negoziare una tregua, se non una ”santa alleanza” contro la coalizione di forze impure e contro gli “apostati”. Se l’Isis si sentisse in pericolo non è impossibile che si raggiunga un accordo. La minaccia in questo caso verrebbe raddoppiata. Ma non siamo ancora a questo punto. Tra i due prevale ancora la logica dello scontro tra Al-Zawahiri e Abou Bakr al- Baghdadi.

Ricordando Raqqa, Aleppo, Homs, Deir ez-Zor, Kobané non possiamo che augurarci una soluzione rapida a questo conflitto, anche se Assad l’ha detto e fatto urlare dai suoi sin dall’inizio: “Assad, o bruciamo il Paese!”. Ma siamo in un sinistro teatro di ombre cinesi. Sembrerebbe che l’ISIS sia d’accordo con il regime di Assad per spartirsi il Paese alle spese di avversari comuni, rappresentati dalle forze rivoluzionarie che tengono ancora, malgrado tutto, soprattutto ad Aleppo, che non deve, non può essere fatta cadere: a quel punto ce li ritroveremmo dentro casa. Assad bombarda di tanto in tanto Raqqa, colpendo “incidentalmente” soprattutto i civili: è un dato di fatto che i movimenti degli jihadisti sono perfettamente conosciuti. Il regime mostra però così al popolo che combatte i “cattivi”, la jihad internazionale. Il suo vero obbiettivo sono i rivoluzionari. La situazione è caotica, la soluzione non è certamente a portata di mano, ma proprio per questo non possiamo “dimenticare” questo conflitto, diventato uno dei tanti.

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Un Commento

  • Splendido articolo, un esempio di quello che non è, e dovrebbe essere, la nostra stampa. Riesce a rendere chiaro il caos che regna in quelle zone e che le rende volatili e per questo ancora più pericolose.

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