Cronache dai Palazzi

Nuovo vertice sulla riforma elettorale. Renzi e l’ex Cavaliere siglano un’ennesima intesa  dalla quale emergono i seguenti paletti: una soglia più alta (40 per cento) per il premio alla lista vincente; capilista bloccati nei 100 collegi; una soglia del 3 per cento per entrare in Parlamento, richiesta dal partito di Alfano e che potrebbe incoraggiare i partiti minori.

“L’Italia ha bisogno di un sistema istituzionale che garantisca governabilità – recitava la nota di Palazzo Chigi dopo l’incontro Renzi-Berlusconi di mercoledì 12 novembre– un vincitore certo la sera delle elezioni, il superamento del bicameralismo perfetto, e il rispetto tra forze politiche che si confrontino in modo civile, senza odi di parte”. In ciò risiederebbero “le ragioni per cui Partito democratico e Forza Italia hanno condiviso un percorso difficile, ma significativo, a partire dal 18 gennaio scorso con l’incontro del Nazareno”. In rilievo la solidità dell’accordo e la volontà di arrivare alla scadenza naturale delle Camere, che il leader azzurro ha voluto fosse scritta nero su bianco: “Questa legislatura che dovrà proseguire fino alla scadenza naturale del 2018 costituisce una grande opportunità per modernizzare l’Italia. Anche su fronti opposti, maggioranza e opposizioni potranno lavorare insieme nell’interesse del Paese e nel rispetto condiviso di tutte le Istituzioni”. In questo contesto di intesa dovrebbe inserirsi anche la nomina del prossimo Capo dello Stato, tantoché il premier e il leader di Forza Italia hanno blindato un accordo “di metodo” e la certezza che Berlusconi sarà seduto “a pieno titolo” al tavolo delle trattative per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

La stabilità viene additata come un valore portante per portare a termine le riforme fondamentali in grado di accrescere il livello di credibilità del Paese Italia. Da Bucarest Matteo Renzi ribadisce che “la legge elettorale è ormai in dirittura di arrivo”, che i giochi sono fatti e il testo è chiuso. Il processo in corso è destinato a cambiare l’Italia, ma anche l’Europa. “Detto questo gli italiani non mangiano con la legge elettorale”, ha aggiunto Renzi di fronte alla comunità italiano in terra romena, con la consapevolezza di dover portare il Paese “fuori dalla sabbie mobili” provocate dalla crisi stringente. Renzi non ha però mancato di sottolineare che anche l’Europa deve fare la sua parte. “L’Europa deve essere una comunità, non un insieme di vincoli. L’Europa deve essere un luogo di speranze, non solo un insieme di burocrazia”. E, soprattutto, “l’Europa non deve essere un luogo di contraddizioni, ma un luogo di ideali, di ansia di democrazia”. In sostanza, “l’Italia sta cambiando ma non servirà a niente se non riusciremo a cambiare l’Europa”, ha ammonito Renzi.

Parole costruttive  e speranzose, che contrastano con l’aria rissosa che caratterizza il panorama politico italiano, tra e dentro i partiti, tantoché il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano – pronto a vigilare sull’approvazione della legge elettorale e l’incardinamento della riforma costituzionale che approderà a Montecitorio il 10 o l’11 dicembre – pronuncia prontamente il suo ennesimo monito: “L’Italia ha il record mondiale del cambiamento dei governi. Lo cederei volentieri agli altri”. Parole abrasive che lasciano trapelare la pesante dose di amarezza che si potrebbe scatenare qualora si intravedessero crisi dell’esecutivo all’orizzonte, ed eventuali elezioni anticipate.

Le minoranze sono comunque tutte in rivolta. La minoranza dem, nello specifico, è pronta a far guerriglia a proposito di legge elettorale- in particolare a proposito di preferenze e numero di collegi – denunciando la mancanza di spazi e la ratifica in direzione di decisioni “prese altrove”, come sottolinea Civati. In sostanza il parlamentino non può essere usato come organo di ratifica del patto del Nazareno stipulato da Renzi con Berlusconi. Sul Jobs Act, invece, si è raggiunto un accordo per cui sull’articolo 18 si mantiene il reintegro dei lavoratori “per licenziamenti discriminatori e quelli ingiustificati di natura disciplinare” e si prevedono fondi più consistenti da destinare agli ammortizzatori sociali nella legge di Stabilità. Matteo Renzi parla di “partita chiusa” e di “possibile fiducia alla Camera sul ddl modificato”. Il ministro Boschi annuncia infine una “data finale certa”: il 26 novembre, scavalcando la legge di Stabilità. L’esecutivo accelera sul mercato del lavoro e sullo sfondo si intravede l’ennesimo voto di fiducia per portare a casa una riforma, il Jobs Act, che ha “una sua solidità e serve al Paese”, ha puntualizzato il sottosegretario Delrio.

Da Bucarest Matteo Renzi ha annunciato una serie di cambiamenti che diventeranno realtà dal primo gennaio: “chiarezza sulle regole del mercato del lavoro, minori costi per gli imprenditori, più soldi in busta paga per i lavoratori, una riduzione delle forme contrattuali”. Per il premier l’intervento sul “meccanismo dell’articolo 18” rappresenta “un grandissimo passo in avanti” e plaude alle decisioni prese nella direzione del Pd sottolineando che le riforme “non si fermano più”, compresa la legge elettorale sulla quale “non c’è nessuna trattativa”, bensì è stato raggiunto un accordo. “L’impianto del patto è più che mai solido, nonostante le differenze”, recitava il comunicato congiunto di Renzi e Berlusconi dopo il loro vertice sulla riforma elettorale.

Il 3 per cento non è comunque ben digerito dagli azzurri, tantoché l’ex Cavaliere rassicura i suoi peones assicurando “battaglia in Aula”. L’importante è rispettare una certa tabella di marcia anche per far sì che Napolitano metta la sua firma sulla nuova legge elettorale.

Dopo il vertice in casa dem a proposito di Jobs Act è esplosa invece l’ira delle opposizioni, e anche l’ira degli alleati di governo. “Il metodo del Partito democratico è inaccettabile”, ha affermato Maurizio Sacconi. Ncd ha chiesto un vertice di maggioranza per discutere “eventuali modifiche alla delega”. Il ministro Boschi, facendosi portavoce della volontà dell’esecutivo, ha comunque sottolineato la necessità di portare avanti il “lavoro parlamentare”, ribadendo che “Il 26 novembre la Camera dei deputati voterà il Jobs Act. Un successo per il governo che ha chiesto e ottenuto una data finale certa. C’è urgenza di ripartire con l’economia nel nostro Paese”, ha puntualizzato la ministra.

Dalle opposizioni, oltre a Brunetta (FI) che parla di “irragionevolezza e violenza del governo”, si distinguono i pentastellati che definiscono “illusorio” l’impegno del governo “di rendere operativo il Jobs Act già dai primi di gennaio. Un obiettivo impossibile al quale vengono sacrificati i tempi di una giusta discussione parlamentare sia della Delega lavoro che della legge di Stabilità”. Per i grillini “la minoranza Pd si è piegata per l’ennesima volta ai diktat di Renzi in cambio di qualche scarabocchio su una delega che resta in bianco e dunque incostituzionale”. Il pericolo più grande è che “nulla sarà approfondito davvero in Parlamento”, un Parlamento “piallato dalla logica dell’austerity di un governo che tenta di rispondere con zelo alle diffidenze europee e tedesche con riforme che non daranno alcun beneficio al Paese”, ammoniscono i Cinque stelle.

Per ora la legislatura continua nel segno di Renzi mentre Berlusconi lo insegue rincorrendo, nel contempo, il titolo di “padre della patria” con la partecipazione alle riforme. La maggior parte degli azzurri però non gradisce la comunella con Renzi e sembra sia già in programma una manifestazione – 27 novembre, Tempio di Adriano, Roma – che potrebbe trasformarsi in un “No patto del Nazareno day”.

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