Muro contro muro

Berlusconi ha il discutibile dono di suscitare sentimenti estremi; da una parte un entusiamo che sfiora il fanatismo fideistico. dall’altra un rigetto cieco, viscerale: sentimenti ambedue irrazionali e che non dovrebbero trovare spazio in una democrazia avanzata e riportano ai regimi in cui su una sola persona e sulle sue vicende si concentrano presente e avvenire. Tra le eredità che il Cavaliere lascerà dietro di sé, questa non è la meno pesante.  Eppure nell’autunno del 2012 era stato a un passo dal farsi da parte e favorire l’emergere nel centro-destra di altri leader capaci di raccogliere il suo legato politico senza condizionamenti giudiziari. Con ragione, perché in democrazia avvicendamento e successione di leader è un fatto normale; ma oggi milioni di persone che in Berlusconi si sono riconosciute per vent’anni sembrano guardare con smarrimento al futuro senza di lui; avrebbe grave torto il PD a ignorare o disprezzare questo sentimento, irrazionale ma umanissimo.

Da qualche settimana, dopo la discutibile sentenza della Cassazione, questa identificazione tra i destini di una persona e quelli di un partito e di un popolo si è fatta insopportabilmente minacciosa. Voci autorevoli ma isolate invitano alla calma e alla riflessione. Ma a guardare le dichiarazioni contrapposte di PDL e PD si ha l’angosciosa senzazione di due treni scagliati l’uno contro l’altro e destinati irrevocabilmente a scontrarsi, lasciando sul campo solo macerie: le nostre, s’intende. Ben pochi  appaiono capaci dello sforzo necessario a  mettersi nei panni altrui ed esaminare a freddo la situazione, con le sue ragioni e i propri torti, equamente divisi come spesso accade.

Che Berlusconi sia, come lo descrivono, angosciato e furioso, si può comprendere. Si vede alle soglie di una disgrazia personale e politica durissima da accettare ed è umano che lui – e suoi fedeli – non possano vedersi in collaborazione con un presunto alleato che si mostrasse insensibile e ostile e cerchino la strada per uscire da questa strettoia. Non è soltanto un atteggiamento irrazionale e di pura vendetta e ha torto chi dice (come Pier Luigi Battista in un fondo sul Corriere di giovedì scorso) che da una caduta del Governo e da nuove elezioni non verrebbe nessun vantaggio per le vicende giudiziarie del Cavaliere. In primo luogo, un rapido scioglimento delle Camere renderebbe superata o irrilevante la questione della decandenza di Berlusconi da senatore. In secondo luogo, da una eventuale vittoria elettorale che gli riconsegnasse la maggioranza nei due rami del Parlamento egli potrebbe aspettarsi provvedimenti legislativi ad hoc, come ad esempio una revisione della Legge Severino o magari un’amnistia o un indulto che copra i reati pregressi. Non sarebbe certo il primo tentativo di colpo di spugna: nella precedente legislatura furono i finiani a bloccarlo, ma ora in Parlamento non ci sono e non ci saranno piú.

Se questo è il piano cui pensa Berlusconi, credo che diventerebbe irrevocabile se i sondaggi gli dessero un chiaro e sufficiente vantaggio. Intanto, Berlusconi e il PDL lo stanno utilizzando per esercitare un’ultima, disperata pressione sul Capo dello Stato e sul PD. In vista di cosa? Il Presidente della Repubblica può certamente concedere la grazia, anche parziale, ma è dubbio che ve ne sia la possibilità politica, a meno che nel Paese e nelle forze politiche non si manifesti un largo consenso favorevole. Quanto al PD, davvero pensano ad Arcore che quel partito, cosí frazionato e problematico, possa prestarsi ufficialmente a votare contro la decadenza di Berlusconi? O a non prendere posizione, come lo invita a fare Alfano? Non si rendono conto che la base non capirebbe e sarebbe solo acqua al mulino di Vendola o, peggio, di Grillo?

Muro contro muro, dunque. Eppure, una strettissima via di uscita ci sarebbe: la retroattività  della Legge Severino è stata questionata da vari giuristi, autorevoli e non di parte, con argomenti che non sembrano da scartare “in limine” (il controargomento usato da altri giuristi, sul carattere “non penale” delle norme sulla interdizione, mi sembra in verità piuttosto formale e cavilloso). Sarebbe logico e politicamente accettabile se la decisione del Senato sulla decadenza di Berlusconi fosse sospesa in attesa di due eventi: la ridefinizione della misura d’interdizione da parte della Corte d’Appello e una successiva decisione della Consulta nel caso, assai probabile, che la difesa del Cavaliere sollevasse la questione della incostituzionalità. Un partito garantista e rispettoso della Legge, come si dice il PD, non dovrebbe avere alcun rossore a seguire questa linea, e il Capo dello Stato potrebbe (forse dovrebbe) discretamente consigliarglielo. Se Epifani e soci vi si rifiutassero, mostrerebbero con chiarezza che le ripetute dichiarazioni a favore della stabilità politica, dell’interesse dell’Italia, sono solo frasi di maniera.

È prevedibile che nelle prossime settimane assisteremo a nuove dichiarazioni bellicose, ma anche a tentativi di compromesso da parte degli inevitabili mediatori, magari sotto la pressione occulta della maggioranza dei parlamentari che non possono volere uno scioglimento del Parlamento a breve termine, con tutte le incognite personali che esso comporta. Se però questi tentativi non riescono, dopo – a parte una improbabile mossa del Capo dello Stato – c’è solo lo scontro  finale, con crisi di governo e nueve elezioni. Non ne va fatta una tragedia: in democrazia le elezioni non sono mai una sciagura e l’Italia non crollerà per questo. Ma un serio danno lo portano – eccome! – perché creano un clima di incertezza che si ripercuote sull’economia, la sicurezza, la nostra posizione in Europa, e perché comportano un onere finananziario ingente del quale potremmo sinceramente fare a meno (si mangerebbero buona parte dell’IMU di un anno sulla prima casa, e il PDL che la vuole abolire dovrebbe pensarci). Soldi buttati via, se poi non vi fosse neppure la certezza di una maggioranza coesa e in grado di governare. Se ci si deve proprio arrivare, almeno si cambi la legge elettorale, adottanto in fretta il sistema maggioritario alla francese, il solo che non costituisca un nuovo, indigeribile pasticcio.

E i partiti presentino programmi chiari e realisti, non i polpettoni propagandistici che abbiamo subìto a febbraio. Dicano in concreto come vogliono gestire l’economia, le tasse, il debito pubblico, la sicurezza, l’immigrazione, il lavoro, come vogliono conciliare rigore e sviluppo, come vogliono riformare le nostre istituzioni rendendole piú snelle, meno costose, piú efficaci, quale Europa vogliono, come pensano di provvedere alla ormai necessaria e urgente riforma della Giustizia, magari modificando la Costituzione (se questo vuole realmente il PDL). Berlusconi indichi chi andrebbe a Palazzo Chigi se lui vi fosse inabilitato, e il PD scelga il suo leader: Matteo Renzi? Enrico Letta? Se dobbiamo votare, almeno sappiamo per chi e per che cosa.

© Futuro Europa

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