Siria, crisi umanitaria sempre più complessa

I ribelli accusano l’esercito di Bachar al-Assad di aver utilizzato gas tossici mercoledì scorso nei pressi di Damasco e affermano che più di 1000 persone sarebbero morte per le inalazioni. Il Regime smentisce. Questo non è che uno dei tanti episodi che fanno della crisi siriana una crisi umanitaria sempre più complessa e senza precedenti.

Dal 15 Agosto scorso, più di 30mila Siriani hanno cominciato a fuggire verso il Kurdistan iracheno. Un flusso tale che le autorità hanno deciso di limitare a tremila il numero di rifugiati siriani che possono entrare ogni giorno nel loro territorio. Il Kurdistan iracheno sta fronteggiando una situazione senza precedenti. I Siriani che entrano nel Nord dell’Irak scappano dai combattimenti che si sono intensificati tra le milizie curde e gli jihadisti. Un altro focolaio di tensioni si è appena acceso. Gli scontri che avvengono dall’altra parte della frontiera sono concentrati soprattutto nella città di Ras al-Ain. I combattenti del Fronte al-Nosra, gruppo legato ad Al-Qaeda, moltiplicano le offensive per riprendersi questo punto strategico perso lo scorso mese. Secondo i Curdi, questi jihadisti esercitano forti pressioni sulla popolazione, soprattutto su quelle persone che si sono rifiutate di digiunare durante il periodo di Ramadan appena concluso così come sulle donne che non portano il velo.  Secondo gli esperti, ci sarebbero due motivi che spingono gli jihadisti a combattere i Curdi. Il motivo principale si trova nella volontà di imporre la legge islamica ad una popolazione curda che è fondamentalmente laica. Il secondo motivo è che questi gruppi rifiutano qualsiasi forma di indipendenza o autonomia. Ma questi attacchi da parte di al-Nosra avrebbero un obbiettivo più ambizioso. Con i suoi alleati iracheni, il gruppo jihadista avrebbe in realtà il progetto di creare un “califfato” a cavallo tra Irak e Siria. Ma la comunità curda, che rappresenta il 10% della popolazione siriana, ha altri piani. Pensa fermamente creare nella regione, che controlla da un anno, un Kurdistan siriano ad immagine e somiglianza del suo vicino iracheno. Ormai mobilitati contro i gruppi jihadisti, i Curdi della Siria non desiderano neanche avvicinarsi al Consiglio Nazionale Siriano, che rifiuta a sua volta, categoricamente,  di concedere loro uno Stato autonomo.

Ma non è tutto, a complicare una vicenda già abbastanza contorta c’è anche la Turchia, vicino che non può essere sottovalutato e che vuole la sua parte. Dall’inizio del conflitto siriano, il Governo turco ha scelto il suo campo. Non ha mai smesso di criticare il Presidente Assad. Nello stesso tempo ha ostentato il suo appoggio incondizionato ai ribelli dell’Esercito Siriano Libero (FSA) e spinto i Paesi occidentali a fornire di armi l’insurrezione e imporre una non fly zone. Ma il conflitto siriano divide anche l’opinione pubblica turca. Una indagine realizzata lo scorso Giugno dal Centro di ricerca sociale e strategica MetroPOLL, con base ad Ankara, mostra che solo il 28% della popolazione sosterrebbe la politica del Governo nei confronti della Siria. Oltre ad essere impopolare, la politica del Primo Ministro Erdogan potrebbe essere per lui un’arma a doppio taglio. La Turchia sta fondamentale con l’opposizione siriana.  Accoglie 210mila rifugiati (ufficiali), distribuiti in una dozzina di campi, più altre decina di migliaia sparse per i paesini di frontiera. Offre una retrovia ai ribelli, permette il rifornimento in armi e munizioni e il passaggio degli aiuti umanitari. Ma una parte dei turchi teme che questa politica provochi delle rappresaglie da parte del Regime siriano. Numerosi spari transfrontalieri, esplosioni di ordigni, l’attentato non rivendicato di Reyhanili lo scorso 11 Maggio, che ha provocato la morte di 51 persone, il rapimento a Beirut di due piloto della Turkish Airlines, sembrerebbero dar loro ragione. E purtroppo è ciò che accade regolarmente, da mesi in Libano, coinvolto malgrado lui in questa triste Storia, e dove i civili stanno già pagando un prezzo altissimo per l’aver accolto migliaia di rifugiati.

A differenza dei Paesi vicini coinvolti e pesantemente toccati dalle lotte intra-settarie, Recep Tayyp Erdogan ha ottenuto il sostegno degli alleati della NATO che hanno istallato batterie di missili Patriot lungo la frontiera. Ma questo non basta a rassicurare la popolazione, né ad evitare che il conflitto siriano si riversi in Turchia. Ankara ha altre fonti di preoccupazione. Una di queste sono i Curdi siriani che, come abbiamo visto, hanno ormai portato alla luce del sole la loro ambizione politica. Il Partito dell’Unione Democratica (PYD), che il Governo turco considera come affiliato del PKK, ha ormai il controllo di una regione a Nord-est della Siria. Mira all’autonomia e respinge le richieste dell’ASL di creare un fronte unito per preservare l’unità della Siria, contro Damasco. Agli occhi di Ankara, il progetto di un Kurdistan siriano autonomo è inaccettabile, come lo è per il gruppo di jihadisti. Da qui si capirebbe l’accondiscendenza dei militari turchi nei confronti degli jihadisti che vanno a confondersi con i ribelli oppositori di Assad: entrambe desiderano nuocere ai Curdi.  Ma questo idillio potrebbe giungere ad una fine. Al-Nosra e Lo Stato Islamico d’Irak  e del Levante (altro gruppo di “ribelli” legato ad Al-Qaeda) sono cresciuti molto in Siria. Questi due gruppi jihadisti sono ormai incontrollabili  e sempre più difficilmente mimetizzabili tra i ribelli moderati. Non esitano a prendersela con i “protetti” della Turchia, l’ASL e la Coalizione dell’opposizione siriana. Domani potrebbero prendersela con gli islamisti moderati e, perché no, agli interessi turchi. Dopo l’attentato alla sua ambasciata in Somalia, lo scorso 27 Luglio, rivendicato dal gruppo Shabab, legato ad Al-Qaeda, la Turchia ha per la prima volta condannato apertamente al-Nosra.

Che sia per motivi politici o religiosi, la violenza che divampa in  Siria ne fa sempre più una situazione per la quale diventa difficile trovare parole che la descrivano. Sempre più attori coinvolti, sempre meno distinzioni tra “buoni” e “cattivi”. L’ONU afferma che il numero di rifugiati che fuggono i combattimenti in Siria è così importante che ricorda quello di 20 anni fa, registrato durante il genocidio ruandese. Questo movimento massiccio fa esplodere la richiesta di aiuti umanitari. Dopo due anni di guerra civile, il bilancio è, secondo le NU, di 100mila morti. Più di 1,8milioni di Siriani hanno trovato rifugio fuori dal Paese, soprattutto in Libano, Giordania, Turchia e oggi Irak. Paesi che hanno a loro volta equilibri precari e che rischiano di incendiarsi alla più piccola scintilla.

© Futuro Europa

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