Cronache dai Palazzi

Nel 2017 la spending review messa in moto negli ultimi anni produrrà risparmi complessivi per 29,9 miliardi, destinati a crescere nel 2018 diventando 31,5. Nel 2014 erano stati 25. La somma corrisponde al 18 per cento della spesa corrente “aggredibile”, al netto delle pensioni e degli interessi sul debito, oltreché della spesa per il personale. Come ha spiegato Yoram Gutgeld, parlamentare e commissario incaricato di coordinare i lavori sulla riduzione della spesa, ben due terzi delle risorse risparmiate sono state impiegate nel raggiungimento di tre finalità fondamentali: il risanamento dei conti pubblici, la riduzione della pressione fiscale, il finanziamento dei servizi pubblici essenziali.

Il cuore della spending review è rappresentato da una maggiore efficienza dell’organizzazione e dei processi della pubblica amministrazione. Ad esempio l’aggregazione delle centrali di acquisto per evitare che strutture simili – come gli ospedali – spendano cifre molto diverse per acquistare il medesimo prodotto. Le passate manovre finanziarie  hanno annoverato tra le voci di risparmio interventi come la mancata sostituzione dei dipendenti pubblici che vanno in pensione (in tre anni 84 mila al netto della scuola), la riduzione del Fondo sanitario nazionale e i tagli degli enti territoriali. Per quanto riguarda questi ultimi la riforma delle Province, anche grazie ad una parziale integrazione delle risorse, ha permesso di risparmiare circa 843 milioni di euro l’anno. Un’ulteriore iniziativa utile è l’accorpamento dei piccoli Comuni: 120 hanno optato per la fusione anche in virtù di alcuni incentivi che Gurgeld vorrebbe potenziare.

Dopo che il premier Gentiloni ha premuto sulla Commissione europea per ottenere un’attenzione maggiore a proposito di migranti, a conclusione del Consiglio europeo che si è tenuto a Bruxelles il 22 e il 23 giugno il presidente Tusk ha assicurato che “i leader hanno concordato di coordinarsi meglio nelle prossime settimane per aiutare l’Italia”, in quanto “la situazione resta critica per gli arrivi irregolari e “l’unico risultato che ci interessa è mettere definitivamente fine” agli arrivi” ha sottolineato Tusk.

Prima che si concludessero le trattative il presidente Gentiloni ha incontrato il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker rimarcando due priorità: una missione europea di controllo delle frontiere meridionali della Libia e nuovi fondi (sino a 400 milioni di euro) per i quali si impegnino tutti  e 27 i Paesi dell’Unione, a partire da Francia e Germania, tutto ciò seguendo l’esempio di quanto fatto in Turchia. La missione europea la chiedono gli stessi libici, ha spiegato Gentiloni e, in sostanza, essendo l’Italia una ex potenza coloniale non potrebbe gestire la missione perché il popolo libico non lo accetterebbe. La Francia, inoltre, ha una base militare in Niger, nella città di Madama, non lontana dal confine con la Libia e potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel controllo della frontiera tra Libia e Ciad. I francesi avrebbero già stimato in 500 unità le forze di un contingente che controlli i confini, anche se secondo il nostro ministero della Difesa sarebbero necessarie migliaia di unità. In definitiva, il nostro presidente del Consiglio si è rivolto direttamente a Macron e Merkel chiedendo più fondi  per la gestione dei flussi migratori e per prevenirli.

Sulla Libia l’Unione si muove in modo “drammaticamente lento”, ha ammonito Gentiloni, che ha sottolineato come i fondi per gestire i migranti devono arrivare solo parzialmente da Bruxelles e in buona parte dai bilanci nazionali. Per di più la procedura, ormai consolidata, per cui i migranti vengono accompagnati nei porti italiani dovrebbe essere superata: “Possono anche essere portati sulle coste francesi, maltesi o della Tunisia, se coinvolta”, ha affermato Gentiloni.

“Non abbiamo ascoltato l’Italia”, ha ammesso a sua volta il presidente francese Macron, “abbiamo mancato di equilibrio nella solidarietà” non solo a proposito di migranti ma anche per quanto riguarda la crisi economica, ha ammesso Macron sottolineando la necessità di intavolare “regole comuni Ue sia che si tratti della Rotta balcanica sia di quella della Libia”.

Sul fronte della politica nazionale Montecitorio ha battezzato la commissione d’inchiesta sul sistema bancario all’interno del quale il Pd  denuncia “imbrogli e pasticci”, soprattutto quelli compiuti “nelle banche pugliesi e in quelle del Nord”. Il segretario Matteo Renzi è convinto che “arriverà un giorno in cui si chiariranno le responsabilità a vari livelli”. Se la legislatura andrà avanti fino ad aprile 2018 si potranno studiare i comportamenti di tutte le istituzioni competenti e testare l’efficacia delle attività di vigilanza.

La suddetta Commissione d’inchiesta verificherà gli effetti delle crisi finanziarie e l’acuirsi del debito sovrano sul sistema bancario. Si comporterà come una specie di faro sulla gestione degli istituti in crisi o in dissesto destinatari di risorse pubbliche o in risoluzione, e monitorerà l’efficacia della vigilanza. La Bicamerale sul sistema bancario avrà gli stessi limiti e gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria. Per quanto riguarda le audizioni, dunque, davanti alla Commissione si applicherà la disciplina del codici penale, per cui è sanzionato il rifiuto di atti legalmente dovuti e la falsa testimonianza.

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