Ambientalismo 2000

L’antagonismo del Novecento tra Ambientalismo ed Economia non solo non è stato superato dalla sintesi della Green Economy, ma è oggi, più che mai, attuale. Dopo l’era della contrapposizione vissuta nella seconda metà del secolo scorso, nel passaggio tra i due millenni si è registrato un periodo fertile di riflessioni teoriche e iniziative concrete per risolvere lo scontro tra due mondi ideali apparentemente ostili in una moderna cooperazione fra economia e ambiente. Attraverso concetti come ‘sostenibilità’, fatti propri dalle legislazioni come dalla comunicazione, sono stati infatti introdotti tanto nelle normative quanto nei sistemi produttivi e nel marketing atteggiamenti, procedure e infine comportamenti sociali in grado di tutelare l’ambiente mentre consentivano lo sviluppo. Ma ora questo sforzo collettivo, che ha prodotto risultati concreti attraverso l’impegno di milioni di persone nel mondo ma in particolar modo in Europa e nel nostro Paese, è mortificato da una reazione che sta vanificando il progresso e le conquiste dell’ambientalismo del 2000. Viene in mente la visione del filosofo tedesco Marcuse, che nel secondo Dopoguerra predisse che la lotta di classe si sarebbe trasformata in lotta tra due realtà diverse, il Nord ed il Sud del mondo. Oggi quel Nord si è tradotto nel luogo mentale della vecchia economia estrattiva, ovvero nucleare-carbonica e globalizzata, simbolicamente propria dei Paesi industrializzati; e quel Sud è diventato il  quadro della nuova economia fondata su sole, acqua e vento, resa autosufficiente dal riciclo e localizzata dai ‘chilometri zero’, simboleggiata dai Paesi in via di sviluppo, ma non ‘povera’, anzi ipertecnologica e già interiorizzata dalla società dei Paesi avanzati. Due mondi. In lotta costante fra di loro.

Nel nostro Paese, terra di contraddizioni, lo sforzo di migliaia di amministrazioni locali ed in particolare dei Comuni Sostenibili censiti ogni anno da Legambiente è per esempio ridicolizzato dal ddl Sblocca Italia, che ha tolto alle Regioni il diritto di opporsi allo scavo di pozzi di petrolio sul loro territorio. Un Comune fa miracoli per risultare a impatto zero, o per offrire ai turisti un paesaggio incantevole e poi, nell’era delle Rinnovabili, si ritrova l’impianto da idrocarburi calato dall’alto delle autorizzazioni nazionali come una delle astronavi del film Indipendence Day di Roland Emmerich. Ci sono richieste di ‘coltivazione’ di idrocarburi in molte aree dell’Appennino, dice la cartografia disponibile su internet: una prospettiva che minaccia per esempio il rilancio dell’Appennino della Fondazione Garrone di Genova, e ridicolizza, per esempio, lo sforzo degli aderenti al Forum per la Sostenibilità del Vino a produrre a impatto zero la bevanda-simbolo del Made in Italy nel mondo.

In un Paese in prima linea a livello mondiale nell’ispirare i fondamenti della convivenza pacifica tra uomo e ambiente e dei principi di Kyoto, per esempio con il lavoro del Consiglio Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile e con la promozione dell’economia circolare, le imprese di casa, titolari delle tecnologie del Solare più produttive del mondo, sono costrette ad emigrare verso Cina, Giappone e Paesi Arabi. Non contento dello skyline prossimo venturo punteggiato di trivelle, un governo che dovrebbe valorizzare la risorsa unica, non delocalizzabile, del paesaggio, porta in porto lo smembramento del più grande Parco Nazionale d’Italia, quello dello Stelvio. Col rischio di farne un  paradigma capace di stuzzicare perfidi appetiti sul territorio di altri Parchi nazionali. Del resto, si dice sul web, questo è il Paese in cui Expo2015 dedicato a ‘nutrire il Pianeta’ è sponsorizzato da multinazionali dell’alimentare. Solo per fare alcuni esempi. Che dimostrano come lo sforzo di tanti per un’economia sostenibile sia snobbato da decisioni di pochi che vanno in senso opposto.

Eppure, anche questo non sarebbe niente se al danno non si aggiungesse la beffa. Perché accade che il business, che non è certo una parolaccia finché non si ritorce contro l’interesse della collettività, abbia trovato nell’ ‘Ambiente’ un tema di marketing per pubblicizzare i suoi prodotti. Non stiamo parlando delle migliaia di aziende virtuose che, soprattutto nel settore agroalimentare, esaltano legittimamente nella propria comunicazione commerciale il contenuto sostenibile, salubre o bio dei propri prodotti. Stiamo parlando di chi, invece, sfrutta lo sforzo di queste aziende e dei loro consumatori, ma anche le bellezze paesaggistiche e ambientali dovute alla cura e all’impegno altrui, per fare affari con ricadute importanti sull’ambiente. E’ il caso del settore degli impianti di risalita sulle Alpi, che in alcune delle province interessate si è servito del richiamo delle Dolomiti proclamate dall’Unesco ‘Patrimonio Naturale dell’Umanità’ per giustificare la costruzione di nuovi piloni e cabine, e degli annessi albergoni.  Il tutto secondo una visione utilitaristica della qualità ambientale, sfruttata dal marketing per convogliare masse di turisti e relativi mezzi di trasporto che però, oltre certi limiti, diventano insostenibili e finiscono per vanificare il risultato positivo raggiunto. Un comportamento imitato da tanti politici, amministratori e realtà associative che si riempiono la bocca della parola ambiente ma sottobanco mirano a sfruttarlo. E corrompono il valore ideale dell’Ambiente vanificandone la presa sulla coscienza collettiva e sull’opinione pubblica

Ecco perché la non compiuta sintesi Ambiente-Economia nella Green Economy ‘di governo’ lascia spazio ad un ambientalismo costretto ad essere, ancora nel 2000, ‘di lotta’. In Italia, ma ancor prima in Europa. E sui valori di base ancor prima che sulle iniziative concrete, perché è in un certo lassismo collettivo che trovano spazio i colpi di coda, in primo luogo sul terreno legislativo e normativo, della vecchia economia morente. Si spiega così la mobilitazione di 100 associazioni non governative ambientaliste europee in difesa delle leggi Ue ‘salva-natura’: le associazioni, che temono che l’esecutivo Ue abbia al contrario tutte le intenzioni di indebolire, più che di migliorare, le leggi esistenti, hanno lanciato una campagna online battezzata simbolicamente ‘Allarme natura’, per consentire ai cittadini di partecipare alla consultazione pubblica della Commissione Europea che sta lavorando sulla revisione delle direttive Habitat e Uccelli. Ad organizzare e promuovere l’iniziativa online sono Wwf, BirdLife, European Environmental Bureau e Friends of the Earth Europe. Il punto è che grazie alla normativa raggiunta nei decenni trascorsi, l’Europa conta sulla rete Natura 2000, la più estesa al mondo: ma, analizzando la nuova ondata di pressioni sull’ambiente in atto nel Vecchio Continente, si rileva il rischio che aver dato per scontato che l’Europa è ‘green’ e ‘ambientalista’ abbia fatto abbassare la guardia, creando con ciò le condizioni idonee per una anacronistica riproposizione di iniziative legate alla vecchia economia carbonica. Una ondata di pressioni che sembrano fortemente interessate alle risorse del nostro Paese, come testimoniano le sempre più frequenti levate di scudi di associazioni ambientaliste e non, di amministratori e di cittadini.

Questa è la ragione per cui, negli anni 2000, c’è più che mai necessità di un ambientalismo consapevole, critico e vigoroso, in grado di difendere il progresso dell’economia di nuova generazione dalle rinnovate pressioni di interessi e investimenti buoni per la rottamazione. Un ambientalismo che, in nome del necessario compimento della green economy, deve compiere uno sforzo di immaginazione e pensarsi senza timori titolare di una class-action mondiale per la sopravvivenza della nostra specie, del pianeta. E della stessa, rinnovata, economia.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]

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