PD, la grande guerra

La guerra fredda all’interno del PD sembra arrivare alla resa dei conti. L’ala più a sinistra dei Democratici comincia a manifestare la propria enorme sofferenza alle riforme proposte da Renzi. La crisi si è definitivamente aperta su uno dei temi che da anni divide politica e parti sociali: l’Articolo 18. Le dichiarazioni del premier in merito alla decisione di cancellare il più ideologico degli articoli della legge 300 del 1970, ha di fatto trovato la totale opposizione dell’area civatiana del PD. Si sono uniti in coro anche tutta la vecchia guardia democratica, da Bersani a D’Alema, personaggi ancora fortemente legati all’anima comunista del Partito Democratico.

Le parole di Renzi sono una totale spaccatura con il passato della sinistra italiana, una innovazione in un settore, quello del lavoro, che ormai da anni fa perdere competitività al nostro paese nei confronti dell’Europa e del mondo. Fatto sta che le ruggini che si sono sviluppate da quando Renzi ha occupato Palazzo Chigi si sono pian piano accentuate con lo svilupparsi delle strategie politiche.

il primo mal di pancia è arrivato dopo il Patto del Nazzareno con Berlusconi, il nemico storico degli ultimi vent’anni, la decisione di portare avanti insieme il programma di riforme per il paese no è andato giù all’ala sinistra dei Dem. Le buone relazioni tra Premier e l’ex Cavaliere preoccupano non solo per gli accordi sulle riforme, che hanno un forte contenuto liberale, ma anche e soprattutto per gli eventuali accordi extra riforme. Sono ormai settimane che si vocifera su grandi partiti unitari e “sconti” per le sentenze dell’ex premier, tutte situazioni che i baroni dem non digeriscono. Ma come detto il rischio spaccatura si è concretizzato dopo la proposta agostana del Ministro Alfano sull’abolizione dell’articolo 18 e subito ben accolta dall’ex sindaco di Firenze.

Queste continue frizioni possono produrre diversi scenari: se Renzi dovesse continuare sulla strada dell’isolamento dell’area civatiana, sfidandoli sulle riforme, è plausibile che si verifichi a breve una scissione, escludendo definitivamente la sinistra oltranzista dal Partito Democratico. Se invece il premier volesse cercare di ricucire lo strappo, annacquando il Job act, pur salvando il partito, rischierebbe di entrare in rotta di collisione con il Nuovo Centro Destra, mettendo a forte rischio, oltre al programma di riforme, la stessa maggioranza di governo.

A questo punto Renzi perderebbe completamente la faccia di fronte ad una crisi di governo e la strada più ovvia sembra quella ormai intrapresa: isolare gli ultimi comunisti e dare definitivamente al PD un taglio Socialdemocratico che gli possa permettere un dialogo maggiore con le minoranze, in una seria ottica di riforma del paese.

Insomma il cammino sembra già tracciato e, nonostante le rassicurazioni di Bersani sul rischio scissione (almeno per ora), l’ipotesi più realistica è che, con l’avanzare della riforma del lavoro in Parlamento, la spaccatura si trasformi in un definitivo strappo con l’uscita definitiva degli anti-Renzi dal PD.

©Futuro Europa®

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