I campi dell’odio

Circolano nella Rete varie immagini di manifestazioni svoltesi in passato in varie città inglesi. Sono foto agghiaccianti, che la stampa inglese ha evitato di pubblicare per non aggravare una situazione già tesa. In esse si vedono cartelli con espressioni di proterva minaccia nei confronti dell’Europa: “Vi distruggeremo”, “La vostra eliminazione è iniziata”, “Ricordate l’11 settembre”, “L’Europa è il cancro, l’Islam la cura”, “Uccidiamo tutti quelli che criticano l’Islam” e peggio. Alcuni le mettono in dubbio, pensano che siano montaggi, ma così non è. Sono autentiche. E le persone, uomini per lo più giovani, agiscono a viso scoperto, quasi per provocazione, tanto si sentono sicuri della nostra debolezza e della loro impunità, tanto contano sulla nostra determinazione, per sé giusta, a non  rispondere all’odio con l’odio. Eppure dovevano pensare che questa arroganza avrebbe attirato l’attenzione delle autorità inglesi. Che i loro autori sarebbero stati, com’è avvenuto, identificati e sorvegliati. Forse speravano che queste eventuali misure avrebbero innescato altre reazioni a spirale. O forse sbagliamo noi ad attribuire una logica qualsiasi a chi è mosso solo dall’odio, un odio cieco, fine a sé stesso, che deve darsi sfogo con le minacce e gli insulti.

Ma chi pensa che siano solo chiacchiere, senza conseguenza, si sbaglia. È la punta emergente dell’iceberg, ma sotto c’è chi pianifica e realizza atti terroristici. A Londra quelle manifestazioni furono seguite da un gravissimo attentato nel centro, che fece morti e feriti. È accaduto in Inghilterra, ma potrebbe accadere in altre parti della nostra Europa. Sono l’altra faccia, quella del “nemico interno”, di una minaccia che sta trovando il suo epicentro nei campi dell’odio in Siria e Irak, dove terroristi criminali sgozzano ostaggi innocenti, terrorizzano e uccidono centinaia, migliaia di persone colpevoli di non sacrificarsi al loro stesso fanatismo. Tanto odio ci prende in un certo senso di sorpresa. Non pensavamo di meritarlo, quali che fossero i nostri torti, le nostre mancanze. Per decenni abbiamo aperto le nostre frontiere, accolto i diseredati del mondo, abbiamo messo un punto d’onore nel mostrarci tolleranti, aperti alla diversità, rispettosi della fede e dei costumi altrui. E se l’Occidente fosse stato davvero così ingiusto, così persecutorio, da meritare tanto odio, che colpe hanno i cristiani di Oriente, gli yazidi, i curdi, gli sciiti, massacrati a migliaia? Abbiamo permesso le moschee in Europa e rinunciato ad avere chiese laddove non sono consentite. Che colpe aveva la Chiesa cristiana di Tikrit, ora rasa al suolo dalla furia jihadista assieme all’antica moschea sciita? Erano simboli di un passato antico e civile che persino Saddam Hussein aveva rispettato.

Riflettano i soliti pacifisti, i dialoghisti ad oltranza, gli zeloti grillini, le reti sociali, quelli per cui il nemico ha sempre ragione e noi sempre torto. Ho letto discorsi pronunciati all’ONU che fanno male. Alcune voci hanno criticato gli Stati Uniti, in presenza di Obama, per gli attacchi aerei alla jihad, o hanno  sentenziato che “non si stabilisce la democrazia con le bombe”: come se si trattasse di democrazia da ristabilire e non di genocidio da fermare! A loro vorrei chiedere: che fareste se il terrore, invece di colpire il poco amato Occidente, venisse sulle vostre terre, minacciasse le vostre famiglie?

Altre posizione espresse a New York sono apparse più complesse. Il Presidente iraniano, Rohani, ha duramente condannato l’ISIS, accusandolo di voler distruggere la civiltà, però ha criticato gli Stati Uniti per gli attacchi in Siria condotti senza il permesso di Assad. La Russia è sulla stessa linea. Sono posizioni viziate da un’interna contraddizione: se si riconosce il male, se si pensa che vada estirpato, non si puó condannare chi lo sta contrastando. Ma riflettono “a specchio” una  analoga contraddizione occidentale: se l’ISIS va distrutto, e se Iran e Siria sono utili in quest’opera, non sarà a lungo produttivo respingerne la collaborazione. Il costo per questa scelta sarebbe accettabile solo se fosse la sola condizione per permettere un intervento militare della Turchia, la sola potenza regionale che ha forze più che sufficienti per il compito. I turchi dicono di volersi impegnare, ma per il momento stanno fermi, pur preoccupati del massiccio esodo di Curdi verso il loro Paese.

Ripetiamocelo: contro il terrorismo, la sola risposta possibile è combatterlo con tutte le forze, con tutte le risorse anche militari disponibili, laddove una risposta militare è necessaria. A questo proposito, vale la pena chiedersi se quello che sta facendo l’Italia sia sufficiente. Io ritengo di sì, tenendo conto delle condizioni reali. Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera, crede invece che dovremmo partecipare direttamente ai raid. Avrà magari ragione. La questione è però: con quali aerei?

Va da sé che l’azione militare non è sempre la risposta. Contro il “nemico in casa” non servono aerei e bombe. Basta la forza della legge. Tolleranza zero, non per chi professa o pratica una religione diversa dalla nostra (Dio ne guardi!) ma per chi ne trae pretesto per praticare o anche solo predicare odio e violenza. Se qualcuno minaccia la nostra sicurezza, va messo in condizioni di non nuocere, applicando fino in fondo le norme del Codice penale e quelle sull’espulsione. Forze dell’ordine e magistratura non devono avere il minimo tentennamento. Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli. E lo dobbiamo anche alla gran maggioranza di musulmani che vivono e lavorano tra di noi, rispettando le nostre leggi. Né noi né loro meritiamo che una minoranza fanatica stravolga questa convivenza e ci spinga (se le istituzioni non fanno fronte al pericolo con la necessaria severità) nella braccia di regimi disposti ad applicare, indiscriminatamente, il pugno duro.

©Futuro Europa®

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1 Commento per "I campi dell’odio"

  1. Francesco Paolo Mancini | 28 Settembre 2014 a 12:06:10 | Rispondi

    Condivido le conclusioni dell’Ambasciatore Jannuzzi. Desidero esprimere qui la mia personale opinione, stimolata dall’articolo ma non consequenziale alle sue conclusioni. Non è la prima volta, da Poitiers in poi, che l’Occidente e l’Europa in particolare affrontano questo problema. Fatti alcuni opportuni distinguo, nei suoi contorni generali il problema è sempre lo stesso, credo. Quello che è cambiato è il modo di affrontarlo da parte dell’Occidente. Rispetto a quei tempi – neanche tanto lontani, se si pensa che la battaglia di Vienna è del 1683, abbiamo una cultura diversa; intendendo per cultura, in senso lato e omnicomprensivo, idee e codici, atteggiamenti e ordinamenti. Dopo secoli di soluzioni, forse drammatiche ai nostri occhi moderni ma vincenti grazie ad un pensiero elementare e lineare, credo che – in mancanza di un ritorno alle origini della nostra cultura – con gli strumenti culturali eccessivamente complessi, elaborati e raffinati di cui dispongono le dirigenze dell’Occidente in questo epilogo della nostra civiltà non si possa fare altro che soggiacere alla elementarità del problema. E prepararsi alle sue future, elementarmente logiche, e drammatiche, conseguenze.

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