Burning Man, festival “comunitario”

Anche quest’anno si terrà (dal 26 agosto al 2 settembre) nel Black Rock Desert del Nevada il festival d’arte contemporanea Burning Man, un festival sui generis che si svolge dal lontano 1986 e che segue le migliori influenze statunitensi del Dadaismo, del Situazionismo, del Suicide Club e della Cacophony Society.

Molto probabilmente non ne avete mai sentito parlare. Ebbene, 68.000 partecipanti provenienti dall’intero globo ricreeranno Black Rock City (BRC), ovvero una città dalla caratterista forma ad arco in cui – tra Playa, villaggi e campi a tema – vivere e realizzare le proprie opere d’arte. È questa la politica di Burning Man che mette al centro il senso di comunità, la libertà d’espressione individuale e l’arte collettiva.

Man mano che il numero di iscritti all’evento cresceva sono state stabilite delle regole condivise, fino ai 10 principi del 2004 che sono alla base di una scuola di pensiero a tutti gli effetti; questo non significa limitare la libertà, ma alimentare una buona convivenza civile.

L’arte che il Burning Man Festival ricerca è un’arte visionaria, slegata da quella mainstream e spesso interattiva. La pratica di incendiare il fantoccio simbolo non è andata perduta, tanto che essa ha coinvolto le attività successive dei partecipanti che operano isolati nel letto asciutto del lago Lahontan o collaborano nei villaggi e nei campi a tema.

I principi dettano l’autosufficienza e il dono a sostituire il denaro, la partecipazione per raggiungere sé stessi e la curiosa norma di non lasciare alcuna traccia dopo il proprio passaggio. Di importanza vitale è il volontariato del Department of Public Works, del Black Rock City Services e dei Black Rock Rangers che per settimane lavorano in loco per la riuscita del festival.

Senza il volontariato non si potrebbe nemmeno immaginare di tornare nell’area di anno in anno. I rifiuti e i resti dei lavori contaminerebbero irreparabilmente la zona, non ci sarebbe nessuno che provveda alle infrastrutture, ai servizi, al rispetto delle norme e alla sicurezza.

Dall’aprile 2011 gli ideatori (John Law, Michael Mikel, Larry Harvey), il cosiddetto The Temple of The Three Guys, si sono divisi per lasciare il posto all’organizzazione non-profit The Burning Man Project, ma Larry Harvey non si sottrae dal scegliere il tema. Quello di quest’anno è Cargo Cult (“il culto del cargo”) che si rifà al culto di Vanuatu relativo a John Frum.

I partecipanti dovranno esprimersi riguardo al luogo di provenienza di questo personaggio leggendario e di destinazione della navicella Terra. Il mito del ritorno del signore dell’opulenza John Frum spinge quindi a costruire velivoli con materiali primitivi, altari vicini al padiglione Burning Man e a portare offerte.

Per accingersi al tema è necessario trovare il proprio Inner Frum (“Frum interiore”), come consiglia Harvey. La mitologia della Melanesia è stata infatti la sua fonte d’ispirazione e lo sarà anche per coloro che installeranno le proprie opere nel deserto e si riuniranno davanti al Burning Man acceso, rituale risalente al solstizio del 1986.

È un tema ampio che permette di sbizzarrirsi e utilizzare a proprio piacimento il deserto che fa da tela bianca per gli artisti. In difesa della privacy degli iscritti paganti le immagini e le riprese sono soggette al copyright di BRC e adibite all’esclusivo uso personale e privato: l’unico modo per scoprire la vita Burning Man è prendervi concretamente parte. Che cosa aspettate? Il costo è di 380$.

© Futuro Europa

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