Scampato il pericolo, pensare ora a Italia ed Europa

Confesso di aver seguito la lunga serata elettorale di domenica con lo stesso animo con cui si segue una classica pellicola western, in cui si affrontano il bene e il male, e di aver provato lo stesso sollievo liberatorio (quasi incredulo) quando il male è stato sconfitto al di là di ogni previsione. Perché Renzi può essere visto o no come il bene (il giudizio è soggettivo), ma lo era nel confronto con Grillo, che è sicuramente il male. Ora  è facile scordarsi e magari ironizzare sulle previsioni e i timori della vigilia, quando si ipotizzava addirittura un sorpasso dei 5 Stelle. Ora il pericolo è superato, il PD ha stravinto alle europee e alle amministrative, ottenendo un risultato che, non solo la sinistra, ma nessuna forza politica otteneva in Italia dai primi tempi della DC. E Grillo è a venti punti di distanza, ha perduto milioni di voti rispetto al febbraio 2013 e nelle amministrative è dappertutto quasi irrilevante. Sconfitta tanto più pesante in quanto paragonata alle sbruffonate di prima: Vinciamo noi, marciamo su Roma, sloggiamo Napolitano dal Quirinale e Renzi da Palazzo Chigi, poi andiamo a Berlino a mettere a posto la Merkel,  infine facciamo i processi popolari ai politici. Povero untorello, che delusione!

L’alleanza NCD-UDC-PPI è riuscita a superare la soglia di sbarramento. È un risultato  tutt’altro che scontato, per un movimento nato solo pochi mesi fa, privo di risorse e schiacciato in una contesa tra elefanti in cui Renzi ha raccolto non solo i voti dell’ultima ora di tanti incerti, ma moltissimi suffragi centristi (mietendo, credo, soprattutto in Scelta Civica). Alfano, Cesa e Mauro possono dirsi ragionevolmente soddisfatti, però costa al momento immaginare con quei  risultati un grande futuro per un Centro davvero autonomo e “ago della bilancia”.

Berlusconi ha perso. Ha certamente pagato gli eventi  giudiziari, la difficoltà di fare campagna (ma straripava in tutte le TV d’Italia) ma alla fine quello che lo ha veramente pregiudicato sono le tante promesse incompiute, le bugie, la leggerezza, l’irresponsabile decisione di uscire dalla maggioranza di Letta. Significa questo la sua fine politica? Non credo subito, ma a medio termine nel centro-destra dovrà pur porsi la questione di un successore attorno a cui aggregare i “moderati” per renderli nuovamente competitivi. Il fatto è che per ora non si vede un possibile leader (tutto sommato, Marina è ancora l’opzione più ragionevole, se ci sta). Giocherà le sue carte Raffaele Fitto, che con 283.000 voti di preferenza ha ripetuto una performance quasi andreottiana. Ma attenzione, su di lui si allungano varie ombre giudiziarie e spero proprio che il futuro centro-destra non si affidi di nuovo a un leader chiacchierato e a rischio di arresto.

Cosa accadrà adesso in Italia? Renzi è uscito legittimato dal voto popolare, cancellando il difetto di origine di un’investitura da “manovra di palazzo”.  Sarà tentato di profittare del vento in poppa per andare a nuove elezioni politiche? Spero che sia abbastanza saggio da evitarlo. In ogni caso, prima deve far approvare una nuova legge elettorale, la riforma del Senato e del federalismo, gestire la presidenza dell’UE e, se ha un minimo di buon senso, lasciare all’economia il tempo per una ripresa che sia avvertibile dai cittadini. Sarà Alfano a rompere  l’alleanza, preoccupato di un ruolo di semplice “portatore d’acqua”? Se lo facesse, commetterebbe un suicidio politico di prima grandezza e farebbe gran torto al Paese. Sarebbero esempi di “politica politicante”, quando il Paese vuole soprattutto essere governato.

Che succederà in Europa? I risultati elettorali sono variegati. In Germania, Olanda e nella maggioranza dei Paesi membri,  le forze europeiste hanno avuto una confortevole maggioranza. In Italia gli eurofobi sono al di sotto del 30% (sempre troppo, s’intende). L’Inghilterra è un caso a parte: non è nell’euro né nell’area di libera circolazione delle persone o in tante altre iniziative d’integrazione e resiste da sempre ad ogni effettivo progresso europeo. Ormai flirta apertamente con l’idea di uscire dall’UE. Se questo deve accadere, che accada! Non è detto che l’Europa starebbe peggio. In Spagna, i maggior partiti, pur restando in testa, hanno perso milioni di elettori a profitto di sei o sette liste ciascuna attorno al 6%, di cui non è affatto da presumere una posizione antieuropea. In Grecia l’avanzata della destra neo-nazi è equilibrata dal successo di Tsipras, una sinistra che nell’Europa crede, ma la vuole più solidale (le sue istanze sono abbastanza utopiche, ma come non provare “simpatia” per questa gente in buona fede, che non ha interessi da difendere o da coprire?). Il vero “caso”, è quello della Francia. Caso, però, importante, perché la Francia è uno dei Paesi cardine dell’Europa, da sempre motore della sua integrazione (anche a corrente alterna). Se la maggioranza in Francia dovesse  voltare le spalle all’Europa, saremmo realmente nei guai. Così, però, non è stato. Il 75%  degli elettori  ha diviso i suoi voti tra i due partiti tradizionali (pur usciti fortemente puniti) e altre liste. In democrazia, il 75%, se ha idee e obiettivi chiari e comune almeno sull’essenziale, conta più del 25%. Inoltre, come ho scritto in un’altra occasione, i successi della destra estrema sono dovuti molto più ai problemi posti dall’immigrazione araba e africana, molto più gravi che da noi, che dalla ripulsa all’euro o da un desiderio di ritornare alla sovranità incondizionata (come la metterebbero, i francesi, di fronte a una Germania sempre più forte?).

Nel Parlamento Europeo, Popolari, Socialisti  e Liberali hanno insieme più di 500 deputati e gli eurofobi un centinaio. Se sanno trovare le giuste intese, il gioco resta nelle loro mani, cioè in mani europeiste. Lo vedremo dalla maniera in cui i principali gruppi si accorderanno sulla scelta dei futuri dirigenti dell’UE: Presidente della Commissione, Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri. La presenza degli antieuropei di estrema destra (e uno stato di insoddisfazione, di critica diffuso anche al di là dei loro adepti) non può però essere ignorata. L’Europa ha davanti a sé cinque anni per risalire la corrente e tornare ad essere quello che i suoi fondatori volevano. La grigia burocrazia bruxellese si rassegni a un ruolo meno occhiuto di regolamentazione e controllo universali (ci si ricordi la regola d’oro della sussidiarietà),  gli organi  “politici”  sappiano dare all’Unione un ruolo di vicinanza ai cittadini, di motore della crescita economica, della ricerca scientifica e tecnologica, degli scambi culturali e umani nel suo seno, e facciano avanzare politica estera e difesa comuni. Solo così potrà recuperare la sua immagine. Ma questo richiede un profondo rinnovamento alla testa delle istituzioni. È finito il tempo dei personaggi scelti perché non scomodano nessuno, come Barroso e Van Rompuy. È tempo di tornare a una guida carismatica, alla Delors, capace di interpretare i sentimenti, le esigenze, persino le pulsioni profonde dei cittadini e darvi risposta. Il prossimo cambio ai vertici offre questa possibilità, purché non ci si lasci andare ai puri calcoli matematici o ai campanilismi di partito.

Per cambiare l’Europa, Renzi e l’Italia hanno in mano buone carte.  Il successo elettorale rafforza il Premier anche di fronte ai partner europei. L’eclisse di Hollande e della Francia indebolisce l’asse franco-tedesco e ridà all’Italia un ruolo da protagonista. Va anche tenuto conto che i democratici italiani formeranno il nucleo nazionale più forte nel gruppo socialista e quindi potranno parlare con speciale autorevolezza.

Renzi punti ora a giocarsi tutte le sue carte. La partita ne vale la pena.

©Futuro Europa®

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