Job Act, che fine ha fatto Ichino?
Il tanto annunciato Job Act di Matteo Renzi è stato finalmente presentato. Durante la Conferenza Stampa Show seguita al Consiglio dei Ministri della scorsa settimana, il neo Presidente del Consiglio ha enunciato i punti cardine della riforma del mercato del lavoro. In realtà poca roba; poca roba rispetto a quello che da almeno un paio d’anni Renzi va annunciando. Sì, perché fino a poco tempo fa, il guru dell’ex Sindaco di Firenze, per quel che concerne il mercato del lavoro, era niente meno che il professor Pietro Ichino. Uno tra gli uomini che insieme a Massimo D’Antona e Marco Biagi contribuì a ripensare il sistema del mercato del lavoro.
La sua idea di riforma si allineava con quello che, già in molti paesi europei, è il modello più utilizzato, ossia la “Flexsicurity”, tradotto “sistema a tutele progressive”. Quella che oggi è considerato anche dall’Unione Europea come il modello di riferimento per il mercato del lavoro, prevedrebbe un sistema di flessibilità in entrata e in uscita (oggi completamente assente nel nostro sistema) con tutele del posto di lavoro all’aumentare dell’anzianità di servizio. Questo sistema prevede solo ed esclusivamente un’unica forma contrattuale: il tempo indeterminato. Difatti la maggiore flessibilità in uscita farebbe automaticamente risultare inutile l’adozione del tempo determinato o di altre forme contrattuali atipiche, considerate le uniche scappatoie ad un sistema fortemente imbrigliato.
Fino a poco tempo fa Renzi e Ichino sembravano viaggiare armoniosamente sullo stesso binario, condividendo le stesse idee sulle riforme e immaginando, in un allora futuro governo a guida Renzi, la poltrona di Via Veneto. Invece qualcosa si deve essere rotto. Nonostante la decisione del Professore di aderire a Scelta Civica per le scorse elezioni, in molti si sarebbero aspettati ugualmente la scelta di Ichino per la guida del Ministero del Lavoro, posto che invece è finito al ras delle Coop rosse.
Così mercoledì scorso di tutto il lavoro fatto con l’ex parlamentare democratico non si è vista traccia. Si è annunciato un nuovo codice del mercato del lavoro il cui contenuto è rimasto vago e si sono annunciati provvedimenti per la flessibilità che solo toccano quei contratti di inserimento che poco influiscono sul sistema.
Si cercherà di mettere mano, ancora una volta ai contratti a termine e all’apprendistato, ormai oggetto costante di riforma di tutti i governi, ma che purtroppo non offre nessuna prospettiva sul lungo periodo. Il problema di base resta la sacralità e l’inviolabilità di una legge (la 300 del 1970) che vede ancora oggi, nel 2014, una strenua difesa da parte dei sindacati.
Si potrà continuare a tamponare con provvedimenti di circostanza, ma senza una seria riforma nella direzione auspicata anche dall’Unione Europea, sarà difficile ridare slancio al mercato del lavoro italiano.
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