
Cronache dai Palazzi
Un piano di rientro dalle ferie per Palazzo Chigi. Dal palco ciellino di Rimini la presidente del Consiglio mette a punto gli obiettivi che l’esecutivo vuole concretizzare a breve termine, a ridosso della Manovra autunnale e di fine anno, e nel medio periodo.
Primo obiettivo un piano casa per favorire in particolare “le giovani coppie” dato che “senza una casa è molto più difficile costruire una famiglia”, puntualizza la premier Meloni sottolineando che serve un piano casa con affitti agevolati. “Annuncio che è una delle priorità sulle quali intendiamo lavorare insieme al ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini”, afferma Meloni spiegando che si tratta di “un grande piano casa a prezzi calmierati per le giovani coppie”. Il piano sarebbe comunque ancora da approfondire. “Ci sono 660 milioni di fondi pubblici messi a bilancio, una inezia. Stiamo lavorando anche al coinvolgimento di forze private da mobilitare per il piano”, ha spiegato il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini. Attualmente “sono in corso più di 150 cantieri per il recupero di 15 mila alloggi popolari”, aggiunge Salvini.
Il progetto per contrastare il disagio abitativo prevede in sostanza un programma di social housing da finanziare con risorse pubbliche e private illustrato dal ministro delle Infrastrutture alle associazioni di categoria già nel mese di giugno. Il governo prevede l’uso di 660 milioni stanziati con le leggi di Bilancio 2024 e 2025 da spendere fino al 2030 per mettere in piedi soluzioni abitative flessibili di edilizia residenziale e sociale partendo dalle città più colpite dall’emergenza casa. Si prevede anche l’utilizzo di fondi europei come Invest Eu o i finanziamenti della Bei, facendo leva sul partneriato pubblico-privato. Il Piano casa potrà essere messo a terra solo dopo aver consolidato l’intesa nella Conferenza Stato-Regioni all’interno della quale si avverte un certo ritardo, tantoché le opposizioni rimarcano che il governo fa “solo annunci”. A proposito di agevolazioni in questo momento i giovani under 36 che acquistano la prima casa possono usufruire di una garanzia statale all’80% del mutuo, mentre le esenzioni sull’Iva sono scadute a fine 2024 come anche le esenzioni sulle imposte catastali, ipotecarie e di registro.
Sul fronte delle politiche familiari a marzo il governo, attraverso il Dipartimento per le politiche della famiglia guidato dalla ministra Eugenia Roccella, ha inoltre approvato il Piano nazionale per la famiglia per il triennio 2025-2027 stabilendo priorità, obiettivi e azioni tra cui il sostegno alla natalità. Tra le novità i Centri per la famiglia ai quali sono destinati circa 55 milioni.
Tra le agevolazioni messe in campo dal governo Meloni vi è la riforma dell’Irpef per i redditi fino a 28 mila euro che è parte della legge delega sul fisco. Si tratta di un provvedimento a beneficio dei redditi medio-bassi escludendo i redditi superiori ai 50 mila euro lordi, tantoché il prossimo passo dell’esecutivo già da quest’anno, rinviato fino ad ora per mancanza di risorse, potrebbe essere ridurre la seconda aliquota dal 35 al 33% e aumentare il relativo scaglione di reddito da 50 mila a 60 mila euro lordi in modo da estendere i benefici al ceto medio ma per poterlo fare serve una copertura strutturale di circa 4 miliardi ogni anno, risorse che l’esecutivo mirava a recuperare attraverso il concordato preventivo biennale per le partite Iva, una sanatoria che non ha però generato entrate sufficienti tanto da poter essere definite coperture “strutturali”. “Vogliamo concentrare la nostra attenzione sul ceto medio, così da rendere il sistema più equo, più incentivante per chi produce reddito, contribuisce allo sviluppo della nazione”, ha spiegato la premier Meloni.
Il Mef guidato dal ministro dell’Economia Giorgetti mira ora ad una nuova operazione di rottamazione delle cartelle, ed estendere la flat tax del 15% alle partite Iva con ricavi fino a 100 mila euro (oggi fino a 85 mila). Le opposizioni criticano a loro volta le scelte della maggioranza sia perché i benefici sull’Irpef sono stati “azzerati dal fiscal drug”, ossia le tasse in più dovute all’inflazione, sia per i benefici a vantaggio dei lavoratori autonomi e la lotta all’evasione fiscale poco incisiva. A proposito di agevolazioni il governo censura inoltre “i sussidi come il reddito di cittadinanza che deresponsabilizzano la società e atrofizzano le persone”.
Altro tema chiave riguarda una scuola più inclusiva anche sul fronte economico, a partire dalle scuole paritarie. Occorre avere “strumenti che assicurino alle famiglie di esercitare pienamente la libertà educativa”, ha affermato la presidente del Consiglio, ribadendo che la parità effettiva presuppone che il costo della scuola privata paritaria non si discosti di molto da quello della scuola pubblica. In questo contesto il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara ha introdotto il “buono scuola” che le famiglie possono spendere sia per la scuola pubblica sia per la scuola privata. Nello specifico per l’anno scolastico 2024-25 le scuole paritarie (11.700 scuole e 790 mila iscritti) hanno avuto a disposizione 750 milioni, 50 milioni in più rispetto all’anno scolastico precedente ma si tratta comunque di una cifra non sufficiente a coprire tutte le spese. Il governo italiano mira a ridurre il divario con gli altri Paesi europei in cui sono previsti voucher, convenzioni o contratti di servizio; i modelli di riferimento sono quello francese o spagnolo. Mentre la premier auspica di “sgombrare il campo da pregiudizi ideologici”, valutando strumenti fiscali o di finanziamento diretto, la sinistra rivendica il ruolo centrale della scuola pubblica.
A proposito di riforme, il governo mira a portare a termine il Premierato e la riforma dell’Autonomia, mentre la riforma della Giustizia è il tallone di Achille. “Andremo avanti nonostante le invasioni di campo di una minoranza di giudici politicizzati che antepongono le correnti alla volontà popolare (…) per rendere la giustizia più efficiente per i cittadini e meno condizionata dalla mala pianta delle correnti politiche e ideologiche, per liberarla dalla politica”, ammonisce la premier Meloni.
Per le imprese l’impegno è invece ridurre i costi dell’energia che condizionano la competitività. Il governo vuole “continuare a sostenere le imprese: l’obiettivo principale e ambizioso è l’abbassamento strutturale del costo dell’energia che pesa come un macigno su competitività italiana”. In Italia rispetto ad altri Paesi Ue, e non Ue, il prezzo dell’energia è più alto; negli Usa ad esempio costa un quarto rispetto a quanto si spende in Italia. Il prezzo medio all’ingrosso dell’elettricità nel 2024 è stato di circa 109 euro al megawattora, in pratica quasi il doppio rispetto alla Francia (dati Agici-Accenture). Attualmente il prezzo dell’energia nel nostro Paese, come media annuale, si è attestato sui 108 euro, mentre in Germania la media sono 78 euro, in Spagna 63 euro e 58 euro in Francia.
Per quanto riguarda la prossima Manovra il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti esclude una manovra bis e ipotizza un 2026 “libero”, anche se la clausola a causa della Difesa rischia di incidere sul bilancio. Con l’uscita dalla procedura per deficit eccessivo – quella che Bruxelles attiva contro gli Stati membri con conti pubblici che sforano sistematicamente i parametri di stabilità – l’Italia ha chiuso un capitolo pesante. “Per la prima volta non si parla di manovra correttiva con la legge di Bilancio: miracolosamente abbiamo fatto le previsioni giuste”, afferma il ministro Giorgetti.
L’Italia mira a rientrare sotto la soglia simbolica del 3% di deficit/Pil entro il 2026, scendendo ulteriormente al di sotto del 3,3% stimato per il 2025. Un traguardo ambizioso che definirà una nuova agibilità politica e fiscale anche se vi sono ancora dei nodi da sciogliere. Il primo dei quali riguarda la spesa per la Difesa. Il negoziato con Bruxelles celerebbe una certa “asimmetria normativa” rilevata dal governo italiano, dato che “se un Paese sotto il 3% aumenta il deficit per finanziare la Difesa, non entra nella procedura. Ma chi, come noi, è appena sopra la soglia per lo stesso motivo rischia di non uscirne”, ha ammonito Giorgetti.
La clausola Difesa introdotta nel nuovo Patto di stabilità presuppone un aumento di budget per rispettare gli impegni Nato e ci si ritrova a dover giustificare un eventuale leggero sforamento del tetto a vantaggio di un settore che l’Unione europea dichiara di voler potenziare coordinando i diversi governi nazionali.
Le istituzioni europee discutono nello specifico di “un’uscita ordinata dalla procedura di deficit eccessivo e un’applicazione flessibile della clausola Difesa”, anche per il nostro Paese con il quale “il confronto è costruttivo”, afferma il Commissario europeo per l’economia, la produttività, l’attuazione e la semplificazione Valdis Dombrovskis. Da parte nostra “abbiamo fatto i compiti”, assicura Giorgetti, puntualizzando: “Sulla base dei dati Istat pubblicati il 30 giugno 2025, non ci sono motivi per manovre correttive”.
Una crescita del Pil migliore delle attese nel primo semestre di quest’anno, un avanzo primario tornato positivo nel 2025, con un saldo stimato all’1% del Pil, sostenuto dal rallentamento del Superbonus e dalla razionalizzazione delle spese fiscali, sono indicatori che confermano la promessa “niente manovra bis”. Il riferimento è al deficit 2024 (3,4%) e a una crescita del Pil migliore delle attese nel primo semestre 2025.
Il 2026 sarà molto probabilmente l’anno del vero test in quanto si affievoliranno gli effetti del Pnrr e verrà azzerato l’esonero da certi vincoli. Una certa agibilità economica ritrovata dovrà fare i conti con il superamento di ogni illusione contabile. Il deficit sotto il 3% risulta essere un traguardo onorevole e nel contempo oneroso, molto probabilmente non sostenibile senza ulteriori tagli o aumenti di entrate. L’uscita dallo stato di sorveglianza risulta quindi essere il risultato di un processo articolato e sempre in movimento, più che un punto fisso nel tempo. In definitiva l’Ufficio parlamentare di Bilancio segnala che le previsioni di Palazzo Chigi sono ottimistiche anche alla luce dei rischi geopolitici, una politica europea restrittiva (Bce compresa) e una crescita economica incerta e instabile.
In definitiva Difesa, famiglie e crescita definiscono il triplo binario della prudenza tanto cara al nostro Mef. In questa fase il governo italiano mira a conciliare rigore e investimento, compreso l’investimento militare al 5% che deve comunque essere sostenuto dal bilancio dello Stato, non trascurando per l’appunto altre spese primarie come pensioni, sanità e istruzione. L’uscita dalla procedura Ue non è solo un fatto tecnico ma un atto politico e i conti in ordine non devono trascurare la crescita e il benessere sociale.
La Commissione europea mantiene anch’essa una linea prudente prevedendo un aggiornamento della valutazione in autunno. La prossima tappa sarà il Documento programmatico di bilancio di ottobre, data in cui si capirà quanto reggono i numeri auspicati dal nostro esecutivo.
In un contesto più ampio il ritorno sotto il 3% non è un obiettivo definitivo ma un nuovo punto di inizio per definire la credibilità dell’Italia nel nuovo quadro di regole fiscali europee e nel contesto internazionale. L’uscita dallo stato di sorveglianza permette all’Italia di svincolarsi dalla procedura per deficit eccessivo ma appare simbolica. Serve continuità nella buona amministrazione dei conti pubblici e consolidamento del sistema economico. Non è il dato secco di un trimestre che misura la crescita bensì la sostenibilità nel medio periodo.
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