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Camera di Consiglio

FALSIFICAZIONE FIRMA DELL’ALTRO GENITORE: FALSO IN ATTO PUBBLICO – Il caso in tema trae origine dalla condanna di una madre per il delitto di cui agli articoli 476 e 482 c.p., per avere apposto la firma falsa dell’altro genitore nella domanda di iscrizione del figlio presso un istituto scolastico, così attestando falsamente il consenso del padre all’iscrizione presso il medesimo istituto.

La donna presentava ricorso in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, l’insussistenza del falso, rappresentando che il modulo con la firma apocrifa non avrebbe determinato la formazione di alcun atto, visto che non si era concretizzata l’scrizione a tale istituto, oltre a sostenere l’esistenza di una scriminante, costituendo l’iscrizione scolastica un adempimento di un dovere imposto dalla normativa vigente, consistente nell’obbligo di provvedere all’istruzione della figlia minore.

La Suprema Corte riteneva il ricorso inammissibile. In particolare, sebbene la minore risultasse iscritta presso un altro istituto scolastico, era da ritenersi irrilevante la frequenza di fatto di altro istituto: invero, tale fatto non porrebbe nel nulla l’iniziale iscrizione presso l’altra scuola. Non a caso, secondo giurisprudenza costante “in tema di falso documentale rientrano nella nozione di atto pubblico anche gli atti interni, ovvero quelli destinati ad inserirsi nel procedimento amministrativo, offrendo un contributo di conoscenza o di valutazione, nonché quelli che si collocano nel contesto di una complessa sequela procedimentale ponendosi quale necessario presupposto di momenti procedurali successivi”.

Per quanto riguarda la pretesa scriminante, avendo la donna assunto di aver agito in ossequio all’adempimento di un dovere, ossia provvedere all’istruzione del figlio minore, la Cassazione riteneva privo di qualsivoglia pregio giuridico il motivo di censura. Appariva, infatti, evidente che l’effettivo falso commesso dalla donna non costituisse via obbligata, non essendo l’unico modo per garantire l’istruzione al minore. La donna veniva condannata, altresì, al pagamento delle spese processuali.

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