Montagna, modello di Green Economy

Non solo agriturismo e sci: oggi “economia della montagna” significa sinergia complessa fra tradizione e modernità, un sistema portatore del valore aggiunto della sostenibilità, che qui più che altrove esprime davvero uso razionale delle risorse e di conseguenza produttività costante nel tempo. Esempio Piemonte: le montagne, spopolate dall’industria, tornano oggi a fornire occupazione a molti dei centomila abitanti che con la chiusura di tanti stabilimenti hanno abbandonato Torino. Con il sostegno della Regione, che il 7 febbraio di questo 2014 ha licenziato in Commissione Bilancio la nuova Legge sulla Montagna che aiuterà i comuni a fare sistema.

Il Piemonte, Regione a statuto ordinario, ha legiferato per promuovere il proprio territorio montano con una apposita legge, ma da sempre le Regioni e le Province autonome sono impegnate a sostenere l’economia della montagna. Con alcuni Enti più in vista, come le province di Bolzano e di Trento o la Val d’Aosta, ma anche con il Friuli Venezia Giulia concentrato su politiche di riconversione economica e promozione del territorio, anche quello di ‘media montagna’. E non solo in casa propria e singolarmente ma anche facendo cartello, ad esempio attraverso l’Uncem, Unione Nazionale Comuni Enti Montani, che si definisce  il ‘Sindacato della Montagna’ ed ha appena annunciato la prossima sessione del Forum Alpinum dedicata alla valorizzazione delle risorse alpine a livello locale e macroregionale per i prossimi 17.19 settembre a Boario Terme; e in Parlamento attraverso il lavoro congiunto dei membri dell’Intergruppo per lo Sviluppo della Montagna. Ma l’azione amministrativa di sostegno all’economia della montagna va oltre, con la Strategia Macroregionale Alpina, tavolo di confronto fra i Paesi europei che si affacciano sulle Alpi, che lavora in relazione con il Commissario europeo per le politiche regionali e che nella seconda metà del 2014,  durante il semestre italiano di presidenza europea, elaborerà il Piano d’Azione che verrà presentato nel 2015. Insomma, c’è un grande impegno corale per fare dell’economia della montagna un modello valido ovunque e superare  alcuni problemi che persistono: in primo luogo quello determinato dallo sviluppo ‘a macchia di leopardo’ dovuto allo sci, che dal boom degli anni ’70 ha portato turismo di massa e ricchezza solo in alcune aree montane ed ha rischiato di fagocitare proprio l’economia, tradizionale che permaneva sulle restanti, più vaste aree di territorio montano.

Da decenni quindi le amministrazioni locali sono impegnate a promuovere le attività in grado di produrre reddito anche nelle fasce sociali non direttamente impegnate nell’industria dello sci, e anche in bassa stagione, mettendo a reddito risorse diverse come i beni culturali, l’artigianato, l’agriturismo, oltre all’Outdoor che sta valorizzando con numerosi contenuti innovativi le potenzialità delle aree montane incontaminate, non raggiunte dal turismo di massa. Per non dimenticare settori fondamentali come l’enogastronomia tipica e di qualità, oggi rilanciata alla grande e rivolta anche all’export, e l’industria del legno alla quale lo sviluppo delle tecniche di costruzione antisismiche e la bioedilizia stanno dando nuove occasioni di crescita. Né vanno dimenticati i sistemi di produzione dell’Energia e di gestione e riciclo dei rifiuti, che nelle zone montane eccellono quasi ovunque per efficienza. Il tutto attraverso la ‘messa in rete’ anche turistica del territorio montano con strumenti come le Alte Vie ed i percorsi enogastronomici, e lo sviluppo di un approccio turistico alla montagna che va oltre le piste da sci e le vie ferrate. Un insieme di iniziative ed attività che sono innovative, ma che si fondano sul ricco substrato socioeconomico e culturale tradizionale delle valli alpine. E alle quali anche il lavoro si è adeguato con criteri moderni, favorendo l’alternanza di attività per i singoli legata al carattere stagionale delle attività.

E’ con questa consapevolezza delle potenzialità economiche dell’economia della propria montagna  che regioni come il Piemonte si stanno nuovamente impegnando. Se non è il ritorno alle Comunità montane, l’iniziativa del Piemonte è comunque segno di qualcosa di nuovo e forse migliore. Già, perché nel clima di spending-review degli ultimi anni le Comunità Montane, nate con legge nazionale nel 1971 ma in molte regioni ormai inadeguate ai propri compiti istituzionali, sono state considerate sacrificabili insieme ad altri enti definiti ‘inutili’ per evitare di de-finanziare il nucleo delle amministrazioni locali e nazionali. Di qui l’abolizione delle Comunità Montane da parte di molte Regioni, fra le quali il Piemonte. Ma la crisi della grande industria e delle produzioni di massa ha riportato in primo piano la qualità dei prodotti e la piccola e media impresa, elementi di un modello di economia mai perduto nel nostro Paese ma che nelle valli alpine è stato più orgogliosamente difeso ed ora è pronto a rifiorire. Ed è stato subito evidente che l’abolizione delle Comunità Montane aveva eliminato alcuni innegabili disservizi, ma anche lasciato un vuoto normativo insopportabile. Ecco perché le amministrazioni più avvedute sono tornate a rifondare in modo efficiente l’associazione fra comuni che condividono un territorio omogeneo, come una valle o un bacino idrografico, e che devono poter gestire insieme servizi e programmazione delle risorse come base per un nuovo sviluppo economico.

Ma perché l’economia della Montagna rappresenta un modello di Green Economy? E perché questo modello è valido per tutto il Paese? Perché, a parte la pianura e la conurbazione Padana, così particolare e diversa proprio dalle valli montuose che la circondano quasi completamente,  e le piane urbanizzate di Roma e della Campania, il 70 per cento del territorio italiano è costituito da aree montane e collinari che comprendono centinaia di valli medie e piccole e costituiscono una sorta di ‘interlocutore’ socioeconomico nei confronti delle aree urbane. E’ questa caratteristica territoriale ad aver determinato numerose varianti di culture, tradizioni e sistemi produttivi a partire da una serie di costanti, da nord a sud, isole comprese. I problemi di sopravvivenza e sussistenza che le economie tradizionali hanno risolto erano analoghi in tutto il Paese, perché se non si considera montagna solo il territorio al di sopra dei 500 metri di quota ma, ad esempio, tutto quello costituito da versanti di più di 30° di inclinazione, allora ‘montagna’ sono anche moltissimi comuni che si affacciano sul mare. Così, la comune esigenza di ricavare cibo da pendii e versanti, e nello stesso tempo di prevenirne il dilavamento e con esso alluvioni e disastri, ha portato ad una comune cultura della manutenzione del territorio, dalla gestione di prati e boschi alpini ai terrazzamenti dell’Appennino dalla Liguria alle Isole.

Una cultura che può far ‘scuola di Pubblica Amministrazione’ al Paese: un’Italia che negli ultimi decenni si è infilata in una crisi che è economica ma anche etica e persino di tenuta del proprio territorio, mal edificato e mal gestito e incapace di sopportare i rovesci del clima e le intemperie.

©Futuro Europa®

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