Cronache dai Palazzi

Una democrazia sana si fonda sulla “articolazione pluralistica della società e delle istituzioni”, lo ha sottolineato il Capo dello Stato, Sergio Mattarella ricordando ad Asti l’onorevole Giovanni Goria nel trentesimo anniversario della scomparsa, ribadendo “i valori di fondo scolpiti nella prima parte della Carta costituzionale”.

Riferendosi alla nostra Costituzione il presidente Mattarella ha citato un’affermazione del celebre statista scomparso nel 1994 a soli 51 anni: “Questa non è solo la Costituzione del nostro passato, ma anche quella del nostro futuro”. Goria fu un “riformatore rigoroso” che ebbe un “rispetto sacrale” per la Costituzione.

Ministro nell’esecutivo di Goria tra il 1987 e l’88, il presidente Mattarella ha condiviso con lo statista piemontese diverse battaglie e soprattutto ha fronteggiato varie situazioni complesse, in un tempo in cui non si cedeva a smanie di semplificazione. Il Capo dello Stato ricorda infatti un Goria che aveva carpito il “disorientamento” che anche allora attraversava il nostro Paese e che si ripercuoteva a cascata sul “rischio di governare” e sulla “fatica della democrazia”, senza però mai cedere al pericolo di sminuirla. La democrazia “non si esaurisce in un giorno, un gesto, un atto, ma necessita sempre della partecipazione dei cittadini”, affermava Giovanni Goria. Inoltre, a proposito del compito della democrazia “non è tanto di stabilire dove andiamo, tranne forse che per il breve periodo, ma come andiamo”, ossia, specificava il giovane statista, “nella libertà, nell’autonomia, nel solidarismo, nel rispetto reciproco, senza sopraffazioni, dando sicurezza al cambiamento, secondo procedure che siano strumenti per aiutare la società a crescere”.

In sostanza in una democrazia il potere non risiede nelle mani di un’oligarchia, che domina su tutti gli altri costretti ad adeguarsi, bensì in una società plurale. Non a caso lo statista Giovanni Goria rimarcava “l’articolato sistema sociale e istituzionale” e la sua “grande funzione di consolidamento del sistema democratico”; un sistema che “ha contribuito al superamento di molte tensioni e contrapposizioni”.

Il presidente Mattarella ha inoltre rievocato “il rispetto” dimostrato da Goria “per i percorsi costituzionali”, tutto ciò a ridosso della prima votazione del premierato, la riforma costituzionale portata avanti dall’attuale squadra di Palazzo Chigi con le opposizioni che hanno per l’appunto sventolato la Costituzione in Senato, mentre la maggioranza le accusava di ostruzionismo. Un clima da scissione referendaria in Parlamento mentre si attende il voto finale previsto per il 18 giugno. A proposito di Goria il Capo dello Stato ha a sua volta rievocato anche il suo “impegno a rafforzare il ruolo del Parlamento”, in particolare “sulle scelte di fondo” come “l’introduzione delle sessioni di bilancio, del Documento di programmazione economica e finanziaria con la determinazione preventiva degli obiettivi annuali, affinché fosse chiara la direzione di marcia e fosse efficace la verifica dei risultati dell’azione di governo”.

Un discorso sulla Costituzione che continua ad attraversare le parole del Capo dello Stato in ogni opportuna occasione. Nel caso di Goria, ad esempio, quelli che potevano sembrare “punti di debolezza” della Carta nel suo pensiero erano invece considerati “punti di forza”. In questo contesto il presidente Mattarella sottolinea che “proprio nel suo essere una Costituzione di compromesso fra diversi e contrapposti progetti ideologici sta la modernità e la capacità di essere un costante punto di riferimento”.

Per di più in un contesto orientato al bene comune e alla crescita democratica “la politica non può e non deve rinunciare alla sua funzione di guida della società: però ha valore solo se, garantendo la libertà, risponde alle esigenze effettive della società e quindi ai bisogni delle persone”, affermava Goria considerando il “confronto pubblico” un elemento essenziale “per la dialettica democratica”. La democrazia risulta funzionale se è, in effetti, connotata da confronto e dialettica. Il mero e sterile decisionismo non appartiene alla democrazia liberale e pluralista. Da qui l’intuizione dello statista piemontese nel rilevare “la necessità di porre fine alle distorsioni corporative che pesavano sulla nostra società”, intuizione quanto mai attuale anche in un contesto europeo.

Un contesto europeo che in questo preciso frangente è sotto i riflettori a causa delle prossime elezioni dell’8 e del 9 giugno. Per la premier Giorgia Meloni si vota per “due modelli d’Europa, un gigante burocratico che pretende di regolamentare ogni aspetto della nostra vita e che è nemico delle specifiche nazionali” e un altro modello “che concentra le sue risorse sulle materie nelle quali può dare un valore aggiunto, a partire dalla politica estera e di sicurezza comune e lascia tutto il resto alla sovranità delle Nazioni”.

A proposito di risorse economiche in Consiglio dei ministri è approdato il redditometro ma per essere sospeso, o meglio revisionato. In accordo con il presidente del Consiglio il viceministro dell’Economia Maurizio Leo ha firmato un Atto di indirizzo per sospenderne la riattivazione. Secondo la premier Meloni per analizzarlo meglio non per essere abolito come vorrebbe Forza Italia, bensì per essere sottoposto ad una profonda riforma. Nel provvedimento di Leo emerge la modifica della norma del ’73 che introducendo il redditometro lo considera prima di tutto uno strumento per fronteggiare i casi di omessa dichiarazione dei redditi e per il controllo del superamento di determinate soglie di spesa, riducendo quindi l’attuale campo di applicazione. Per la premier Meloni servono “ulteriori approfondimenti” e l’obiettivo del governo “è e rimane quello di contrastare la grande evasione”, ma, “senza vessare con norme invasive le persone comuni”. Più tecnicamente fonti di Palazzo Chigi spiegano che viene “differita l’applicazione del decreto, in attesa di una norma di revisione del redditometro”.

“Nessun grande fratello fiscale”, ha ribadito la premier, cercando anche di placare l’insurrezione dei suoi alleati di governo entrambi avversi alla misura, chi per un aspetto chi per un altro, tanto da volerla abrogare. La Lega definisce addirittura il redditometro “uno degli orrori del passato” mentre Forza Italia ha pronto un testo per abolirlo. I partiti di opposizione non mancano di esporre anch’essi le loro critiche. Per Elly Schlein “sul redditometro siamo al solito disastro di un governo diviso” e “confuso”. Mentre il leader pentastellato Giuseppe Conte afferma: “Diranno che sono stato io anche stavolta”. In sostanza il redditometro permette di stimare il reddito dei contribuenti sulla base delle capacità di spesa confrontandolo con quello dichiarato ed eventualmente contestarlo.

“È uno strumento residuale – spiega il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Ruffini – che però non è mai stato eliminato, solo sospeso in attesa di indicatori più attendibili a tutela dei cittadini onesti”. In sostanza “viene usato quando non abbiamo alcun elemento per ricostruire i redditi degli evasori totali, che non presentano la dichiarazione, ma hanno una significativa capacità di spesa”. In definitiva si tratta di un differimento e non di un blocco del redditometro inserito in una norma pubblicata in Gazzetta ufficiale lunedì e poi ritirata da Palazzo Chigi. Il viceministro Maurizio Leo dovrà porre rimedio ad una situazione controversa.

Dal teatro Sociale di Trento, intervenendo al Festival dell’Economia giunto alla XIX edizione, la premier Meloni discutendo per l’appunto di redditometro – oltreché di riforme istituzionali e quindi di premierato – ha puntualizzato che occorre “fare chiarezza”, dato ciò che è accaduto nei giorni appena passati.

La norma è stata sospesa “perché la voglio vedere meglio”, ha affermato Giorgia Meloni, spiegando: “Una cosa è colpire i casi oggettivamente intollerabili, ossia gente che gira con il Ferrari e si dichiara nullatenente; altra cosa è correre il rischio di infilare nell’ordinamento un’altra norma che vessa il cittadino comune, sulla quale io sono contraria”, ha ribadito Meloni.

Ripercorrendo un po’ la storia e, in particolare, riferendosi al cosiddetto “accertamento sintetico” in vigore nel nostro ordinamento finanziario, la premier Meloni spiega che si tratta di “una norma che esiste da moltissimi anni e che consente in buona sostanza all’amministrazione finanziaria di fare degli accertamenti sulla base di eventuali discrepanze tra il tenore di vita e il reddito che viene dichiarato”. La suddetta norma “avrebbe bisogno di decreti di attuazione per capire quali siano i limiti all’interno dei quali opera l’Agenzia delle Entrate”. Nel 2015 il governo Renzi “fa un decreto per normare questo accertamento sintetico, il cosiddetto ‘redditometro’, una misura molto invasiva sulla quale io non ho cambiato idea, siamo stati contrari, siamo contrari”, specifica Meloni. In seguito il governo Conte I nel 2018 “decide di abolire il decreto del redditometro di Renzi e annuncia che avrebbe fatto un altro decreto. Questo decreto non arriva mai”.

Nella condizione attuale abbiamo quindi l’accertamento sintetico “ma non abbiamo le norme che lo regolano”, ha puntualizzato la presidente del Consiglio sottolineando che “oggi l’Autorità può muoversi nell’ambito dell’accertamento sintetico con grande libertà, con eccessiva discrezionalità”. Da qui parte il lavoro dell’attuale esecutivo e del viceministro Leo in quanto “occorre fare una norma che, a garanzia dei contribuenti, non dia dei poteri che sono illimitati rispetto a questo tipo di accertamento”. In definitiva “stiamo procedendo con i decreti attuativi di quella delega fiscale per disegnare un rapporto diverso tra fisco e contribuente” e cercando di portare a termine “una riforma fiscale attesa da 50 anni”, ha detto Meloni. “Serve un fisco che vada incontro ai cittadini in difficoltà, che sappia dialogare”, cercando di comprendere “ogni singolo caso perché ogni singola storia è diversa”.

Occorre instaurare “un fisco giusto” ossia “che chiede di pagare il giusto”, per l’appunto, “e di farlo in tempi ragionevoli”, chiosa la premier precisando che un fisco “giusto” è quello che “innanzitutto non ti vessa con delle regole assurde, con un livello di tassazione altissimo e che non corrisponde al livello dei servizi che vengono erogati”. Giorgia Meloni ha inoltre puntualizzato che il 2023 è stato un anno record per quanto riguarda il recupero delle risorse dell’evasione. In questo contesto dal 2018 al 2022 sono stati quasi 6.000 gli accertamenti effettuati per un incasso che supera i 14 milioni di euro.

In ultima istanza il premierato: una riforma necessaria per la premier Meloni. Una riforma che crea molto rumore tra le parti politiche e all’interno delle Istituzioni in quanto mira a modificare sette articoli della Carta Costituzionale. Per questo motivo si tratta di una riforma che “in questa Nazione fa una piccola grande rivoluzione” – afferma Meloni – e il cui focus è “rimettere il boccino delle decisioni in mano ai cittadini”. Una riforma combattuta prima di tutto in quanto spaccata sul piano delle idee: “Io propongo l’elezione diretta del capo del governo e l’abolizione dei senatori a vita. Il Pd propone ostruzionismo contro l’elezione diretta del capo del governo e raddoppio dei senatori a vita”, ha affermato Meloni.

In definitiva, per la presidente del Consiglio il premierato oltre che “una misura democratica” è anche “una misura economica” in quanto garantendo “la stabilità” di Palazzo Chigi è di fatto “una misura di rafforzamento di ogni opportunità di far crescere l’economia della Nazione”. Il fattore “stabilità governativa” viene considerato decisivo per costruire un’Italia più attrattiva, in primo luogo agli occhi di coloro che vorrebbero investire nel nostro Paese.

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