Cronache dai Palazzi

L’onere a carico dello Stato a causa del Superbonus supera i 122 miliardi, relativamente alle detrazioni maturate per i lavori conclusi.

Palazzo Madama ha accordato la fiducia al decreto sul Superbonus con 101 voti a favore e 64 contrari, decreto che dovrà ora passare all’esame di Montecitorio; la scadenza è il 28 maggio. “I numeri non lasciano dubbi né interpretazioni: non c’è nessun problema politico e la maggioranza non è mai stata in discussione, né il Governo”, ha sottolineato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, che aggiunge: “Le tensioni sono legate al clima elettorale. Ma la tenuta del governo non è mai stata messa in discussione”.

Il vicepremier Antonio Tajani mette nero su bianco “le molte perplessità” di Forza Italia: “Siamo contro qualsiasi ipotesi di legge retroattiva in qualunque settore. È una questione di principio a cui non rinunciamo”. Per di più per i forzisti non ci sono mezzi termini: “Per un emendamento che non condividiamo non viene assolutamente meno la fiducia nel governo”. Ciriani fa la sintesi: “Non ci sono né vincitori né vinti ma c’è la soddisfazione di tutti” e, per di più, “l’emendamento sarebbe passato comunque. La maggioranza era autosufficiente”.

Il presidente della Commissione Finanze, Massimo Garavaglia della Lega, chiarisce che “non è stato facile” ma la realtà è che i “margini così ristretti in commissioni che decidono per miliardi non vanno bene, perché un solo voto aumenta il potere di ricatto e quello delle lobby”.

Italia viva aveva votato a favore dell’emendamento del governo in commissione ma senza dare la fiducia. “Noi non siamo la stampella del governo ma siamo quelli che se hanno una stampella da dare, la danno agli imprenditori”. Per i dem, come dice Francesco Boccia, “la fiducia posta a questo provvedimento è una fiducia posta sulla stessa maggioranza”. I dem puntualizzano che FI ingoia gli errori del ministro Giorgetti che colpisce imprese e aziende che si sono fidate dello Stato ma premia con condoni e concordati chi invece lo Stato lo raggira”. Nel frattempo la Guardia di Finanza ha portato alla luce una maxi truffa in Liguria che ha portato al sequestro preventivo da 1 miliardo di euro su 311 soggetti detentori di crediti d’imposta. Crediti in sostanza inesistenti in quanto ottenuti con false fatture per lavori da portare a termine o in esecuzione.

In definitiva, riguardo alle diverse posizioni “rispettiamo tutti, ma come prima cosa viene la messa in sicurezza dei conti pubblici perché parliamo di un buco da più di 220 miliardi”, puntualizza il ministro Ciriani. Il disastro provocato dal Superbonus continua ad essere paragonato alla valanga del Vajont, per cui una diga forse non è nemmeno sufficiente. Il ministro dell’Economia espone altri paragoni forti. “È come la droga bisogna disintossicarsi. È doloroso, ma qualcuno deve pur farlo. E pure il doping non funziona, anche se Ben Johnson ci ha vinto le Olimpiadi”. O io o il Superbonus ha in effetti affermato più volte il ministro Giorgetti. Il grafico delle detrazioni, maturate per i lavori conclusi – in sostanza oneri a carico dello Stato – dal 2021 al 31 marzo 2024 è un’ascesa senza sosta; dai 5,6 miliardi del 2021 che sono diventati (moltiplicandosi per sette) 38,8 nel 2022, raddoppiando ancora nel 2023 raggiungendo quota 79,3 miliardi e, infine, impennando nel 2024 oltrepassando i 122 miliardi. Molte parole e tante cifre altisonanti e, soprattutto, tanto deficit che dilagherà sulle future generazioni, saccheggiandole. I primi di settembre del 2023, all’interno del Forum Ambrosetti, il ministro Giorgetti lanciava i primi segnali: “A pensare al Superbonus mi viene mal di pancia. ha effetti negativi sui conti pubblici, ingessa la politica economica, non lascia margine ad altri interventi. Questo governo ha già pagato venti miliardi, e altri ottanta almeno sono quelli che restano da pagare, ma tutti hanno mangiato e poi si sono alzati dal tavolo”.

Un contesto complesso i cui effetti saranno anche più pesanti del previsto. Il rapporto tra debito pubblico e Pil italiano a fine 2023 è pari a 137,3% e nonostante un modesto +1% per quanto riguarda la crescita attesa dal governo nel 2024, quest’anno si prevede una crescita non irrilevante anche per quanto riguarda il deficit (4,3%).

Nel frattempo, siamo in un tempo di campagna elettorale proiettati verso le Europee dell’8 e 9 giugno 2024. Il clima è infuocato, a partire dal confronto/duello tra Meloni e Schlein al quale la Rai deve rinunciare – dibattito previsto per il 23 maggio – in quanto non sussistono le condizioni Agcom per la messa in onda, in sostanza non risulterebbe rispettato l’equilibrio delle parti. I dibattiti preelettorali imperversano comunque anche su altre reti, non solo all’interno del servizio pubblico radiotelevisivo, immersi in un’atmosfera ormai nota, da campagna elettorale permanente, da diversi anni or sono.

In sostanza affinché avvenga il confronto da Bruno Vespa a Porta a Porta occorre che aderisca a ulteriori confronti una larga maggioranza delle liste presenti alle Europee o, comunque, la maggior parte delle liste rappresentate nel Parlamento europeo. Prospettiva non condivisa ad esempio dalla commissaria Elisa Gnomi che, puntualizzando il regolamento sulla par condicio, sottolinea che i confronti devono assicurare “una effettiva parità di trattamento tra tutti […] oltre che nell’ambito della medesima trasmissione, anche nell’ambito di un ciclo di più trasmissioni dello stesso programma, organizzate secondo le stesse modalità e con le stesse opportunità di ascolto”. In sostanza secondo l’Authority la parità di trattamento può essere garantita “dall’offerta a tutti i soggetti politici della medesima opportunità di confronto”.

Garantire un palco mediatico è, in definitiva, una condizione necessaria ma non sufficiente, Occorre che il format sia “accettato da una larga maggioranza delle liste in competizione elettorale e comunque dalla maggioranza delle liste con rappresentanza in Parlamento”, ossia cinque su otto. Dato lo stato di fatto di una maggioranza che esiste, a coloro che non hanno aderito spettano “spazi compensativi” con le medesime opportunità di ascolto”. In ogni modo per Gnomi siamo di fronte a “un precedente rischioso per la libertà editoriale, poiché consente alle emittenti un vaglio selettivo e potenzialmente discriminatorio delle forze minoritarie” ed inoltre non vengono precisate quali debbano essere le compensazioni per chi non aderisce. Fatto sta che Porta Porta dovrà necessariamente attenersi alle condizioni di Agcom e nello stato attuale sono tre i partiti disposti al confronto: FdI, Pd e Lega. Anche Mentana ha aperto le porte al confronto per le serate del 5 e 6 giugno su La7 e, per ora, oltre a Matteo Salvini (Lega) si sono resi disponibili Giuseppe Conte (M5S) e Angelo Bonelli (Avs). Antonio Tajani (FI), Carlo Calenda (Azione) e molto probabilmente anche Matteo Renzi (Iv) opterebbero per un confronto di gruppo all’americana, nella stessa serata e con tutti coloro che siedono già a Strasburgo.

Nella società contemporanea la politica è di fatto comunicazione e la comunicazione televisiva, nello specifico, gioca un ruolo fondamentale. Non a caso si procede con il bilancino. La politica, inoltre, è sempre più leaderismo. I faccia a faccia non a caso avvengono tra leader in competizione che, nel contempo, sono i segretari dei vari partiti. Il confronto si gioca sul piano tematico ma il metterci la faccia (l’immagine) è l’elemento fondamentale ed è anche quello che attira più telespettatori alzando i livelli dell’audience.

A proposito di temi il Pd, nelle vesti di Elly Schlein punta su sanità, salario minimo e premierato e aspetta di duellare con la leader di Fratelli d’Italia nonché primo ministro del governo italiano attuale. Antonio Tajani (FI) sembra invece aver respinto il confronto con Matteo Renzi (Iv). “Vespa mi ha chiesto di partecipare a un faccia a faccia con Tajani. Ho accettato. Tajani no”, ha dichiarato Renzi aggiungendo: “Forza Italia scappa dal confronto, peccato”. Italia viva mira ai voti centristi e Forza Italia sarebbe un ottimo avversario contro il quale duellare. Tajani fornisce a sua volta una diversa versione dei fatti preferendo il “confronto di gruppo” e quindi non ha accolto l’invito di Vespa ribadendo: “Si faccia un incontro tutti insieme, visto che c’è il proporzionale”. Tajani mette inoltre i puntini sulle ‘i’ e non accetta che Forza Italia duelli con forze minori. “Io rappresento – afferma Tajani – il primo partito in Europa. Il confronto infatti è tra popolari e socialisti e io non posso accettare che il Ppe – e, quindi, FI – possa essere considerato di serie B”. D’accordo con Tajani per quanto riguarda un eventuale confronto di gruppo, Carlo Calenda dichiara: “Noi vogliamo il confronto con tutti. All’americana. O almeno un confronto con tutti quelli che sono rappresentati in Europa”. Il leader pentastellato Giuseppe Conte, invece, non ha accettato il confronto con l’ex alleato leghista Matteo Salvini proposto da Vespa e sembra puntare ad un faccia a faccia con la premier in carica. Sfidando Giorgia Meloni sui social Conte scrive: “Dovresti smetterla di continuare a ingannare gli italiani con il falso racconto che con la tua riforma (premierato ndr) avremo più democrazia. È esattamente il contrario. Dai vieni da Mentana che così ne parliamo”. La premier non accenna alcuna risposta e Conte ha espressamente chiarito su quale argomento intende premere l’acceleratore. Salvini, infine, sembra essere disposto a duellare senza necessariamente scegliersi l’avversario. “Deve recuperare voti”, dicono voci interne alla Lega, magari “perché ha capito che Vannacci non ‘tira’ più di tanto”.

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