Gino Bartali, l’ultimo eroe

Cinque maggio del Duemila: all’inizio del nuovo secolo ci lasciò Giano Bartali, un simbolo di un’epoca e un eroe di un’era realmente epica di uno sport che, probabilmente, in quei giorni non vedeva l’uso di prodotti che, oggi, lo hanno condotto in scandali che ne hanno annebbiato non poco l’immagine.

Scrivere di Gino, o Ginettaccio, non vuol dire parlare solo di ciclismo. Iniziamo dalla nomina a “Giusto tra le nazioni” per il suo aiuto agli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, quando trasportava documenti nascosti nella sua bicicletta per salvare qualcuno dall’’Olocausto. L’episodio è stato messo in dubbio e, successivamente, confermato. Ma risulta credibile e in linea con il pensiero del campione secondo cui il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca. Non aveva bisogno di follower e, anzi, se avesse conosciuto un mondo in cui l’ossessione è quella di farsi vedere e giovani competere da una poltrona per il titolo di campione di videogame, avrebbe probabilmente rispolverato il suo celeberrimo “Gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare”.

Nato a Ponte a Ema, Firenze, aveva una faccia più da pugile e un naso splendidamente definito triste come una salita da una delle più significative canzoni di Paolo Conte. Terzo di quattro figli iniziò lavorare in un negozio di biciclette a 13 anni, la stessa età in cui iniziò a correre. Intanto arrotondava vendendo rafia ai produttori di coperchi per bottiglie di vino. Già promettente dilettante, passò professionista nel 1935, a 21 anni per laurearsi campione italiano l’anno successivo. Il primo titolo di una lunga serie.

Aveva iniziato a gareggiare insieme ai grandi eroi di un vecchio tipo di ciclismo; non si era spenta la eco delle gesta di Binda e Girardengo che iniziò il periodo di trionfi di Learco Guerra a cui Bartali fece da gregario.

Prima della Guerra vinse, oltre a molto altro, due Giri d’Italia e, nel 1940, si fece da parte, da vero leader, per consentire la vittoria di un suo gregario, il ventenne Fausto Coppi. Alla ripresa delle attività agonistiche, il trentaduenne Bartali si riprese la maglia rosa e, due anni dopo compì un’impresa leggendaria quando, a ben trentaquattro anni, vinse il suo secondo Tour de France a distanza di dieci anni dal primo, nel 1934. Prima di lui, l’unico italiano a farlo era stato Bottecchia.

La vittoria del 1948 è ammantata da un velo di leggenda e, forse un po’ di verità. Il 14 luglio del 1948, un anno politicamente parlando rovente, a Roma lo studente siciliano Antonio Pallante aveva attentato alla vita del leader comunista Palmiro Togliatti. Vi sono ormai pochi dubbi che Alcide De Gasperi telefonò a Bartali, compagno dell’Azione Cattolica chiedendogli la vittoria nella tappa del giorno dopo. Forse si dissero anche altro, ma il 15 luglio Bartali vinse la Cannes-Briançon recuperando oltre venti minuti di svantaggio da Louison Bobet e al Colle dell’Izoard ce lo ricorda una stele. Vinse anche la tappa del giorno dopo e si avviò verso il trionfo finale. Tutto ciò stemperò molto il clima di tensione che si era creato sull’Italia che sembrava sull’orlo della guerra civile.

Chiuse la carriera a quarant’anni, collezionando una serie di vittorie che, purtroppo, non includono quello di Campione del Mondo. Il suo anno, forse, poteva essere quel 1948; ma lui e Coppi restarono nelle retrovie a controllarsi a vicenda. Coppi si rifece nel 1953.

Tra i due una grande rivalità che divise l’Italia come, forse, in passato erano riusciti a fare solo Guelfi e Ghibellini e, anni dopo, Mazzola e Rivera. Ma quella tra Bartali e Coppi era una divisione che rappresentava bene tutte le differenze dell’Italia non solo di allora.

I due, forse neppure volontariamente, erano diventati anche i simboli dei due principali partiti politici: Coppi era considerato comunista, mentre Bartali era democristiano. Bartali era molto religioso e Coppi laico, al punto che rimase coinvolto in uno scandalo nell’Italia benpensante di allora quando lasciò la moglie per la misteriosa Dama Bianca. Esistono tuttavia immagini dei due ciclisti ricevuti insieme dal Papa Pio XII.

Ma Coppi se ne andò troppo presto e Bartali è rimasto ad alimentare la sua leggenda e lasciare i suoi aforismi popolari di cui, uno, è uno specchio dell’Italia di allora come quella di oggi. È stato lui, infatti, a dire che siamo un paese di sedentari dove una poltrona è il premio di chi fa carriera.

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