Navalny, ennesimo errore di Putin

All’età di 47 anni non si muore per caso in una prigione siberiana, soprattutto se qualche anno prima si è stati intossicati da un potente agente chimico disponibile in pochi arsenali militari.

Si allunga una linea di sangue che parte almeno dal 2006 quando Anna Politkovskaya fu assassinata a Mosca nell’androne della sua casa. Scriveva su Novaja Gazeta articoli che non lesinavano critiche al dispotismo di Putin. Quando Sergej Magnitsky anche lui nel 2009 è morto in carcere. E poi quando nel 2015 Boris Nemtsov che oltre ad aver a lungo rivaleggiato con Putin nel 2014 aveva duramente criticato l’invasione russa della Crimea, fu ucciso a colpi di pistola a pochi passi dal Cremlino.

Il messaggio che ne proviene oggi è però più sanguinario che in passato perché è la prima morte in cui la responsabilità dello Stato è messa in causa dopo l’inizio della guerra in Ucraina e a poche settimane dal voto presidenziale in Russia; una convergenza troppo minacciosa per l’inquilino che governa il Paese da quasi un quarto di secolo solo soffocando il dissenso e ricreando l’illusione di una Russia imperiale. Ora oppositori, critici e pensatori liberi hanno ricevuto un messaggio chiaro: il Cremlino non arretra neppure di fronte al biasimo morale collettivo del mondo libero. Contemporaneamente Putin afferma che l’affermazione russa in Crimea è per Mosca una questione vitale.

Se è così, è perché lui lo ha deciso ma ciò non può che rafforzare la determinazione europea – speriamo anche atlantica – nel difendere un popolo fieramente libero e che tale deve rimanere.

Proprio la guerra dimostra oggi con la morte di Navalny quanto lo Zar sia debole e le decine di migliaia di morti in Ucraina oltre ai mutilati corrano il rischio di esporlo a una crescente disapprovazione di vasti settori della società.

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