Banche Centrali, la corsa all’Oro

Il prezzo dell’Oro ha spiccato il volo, arrivando a superare i 2.000 dollari l’oncia sui mercati internazionali, a causa dell’incertezza che domina lo scenario attuale. Le variabili che influenzano la valutazione del metallo prezioso non sono solo quelle geopolitiche, ma anche le politiche praticate dalle Banche Centrali.

La grande incertezza – Non c’è dubbio che nell’attuale situazione geopolitica, caratterizzata da conflitti dai contorni indefiniti, il fattore incertezza sia divenuto assolutamente dominante. Il punto è che, quando la situazione geopolitica trasmette alla sfera economica un tasso di incertezza non assorbibile, l’instabilità dei mercati aumenta in maniera aggressiva.

La corsa all’Oro – Come noto l’Oro è un ottimo misuratore del grado di incertezza presente nel sistema: e qui i dati diventano interessanti. L’oro si mantiene ormai da qualche tempo saldamente sopra i 2.000 dollari l’oncia; prima dell’attacco di Hamas si muoveva intorno ai 1.800 dollari l’oncia. Ma ciò che è meno noto, è che la quotazione dell’oro è stata spinta verso l’alto anche dai massicci acquisti da parte delle Banche Centrali. Più in particolare, le Banche Centrali, anche in relazione al conflitto in Ucraina, nel 2022, avevano già acquistato oltre 1.000 tonnellate di Oro. Il World Gold Council ha di recente evidenziato che, nei primi nove mesi del 2023, le riserve auree sono aumentate ulteriormente di 800 tonnellate, 337 tonnellate solo nel terzo trimestre. Ancor più interessante il fatto che i maggiori acquisti di Oro siano stati effettuati dalla Banca Centrale Cinese, che ha acquistato nei primi nove mesi dell’anno ben 181 tonnellate di Oro. Questi acquisti dipendono verosimilmente, da una parte, dalla volontà di ridurre il grado di dipendenza cinese dal dollaro e, dall’altra, dalla volontà di rafforzare le proprie riserve domestiche. Il congelamento delle riserve valutarie russe detenute all’estero come sanzione all’invasione dell’Ucraina ha insegnato parecchio.

L’oro italiano – Le riserve auree italiane ammontano a circa 2.452 tonnellate, che valgono indicativamente 130-140 miliardi di euro. Siamo al terzo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti e la Germania. Di queste riserve auree italiane, 1.100 tonnellate sono custodite in Banca d’Italia, in via Nazionale, 1.060 tonnellate negli Stati Uniti e la restante parte in Gran Bretagna e Svizzera. Nota di colore: si ritiene che tra le varie motivazioni all’origine della presenza del nostro Oro negli Stati Uniti ci sia stata la preoccupazione nel dopoguerra per la “minaccia bolscevica”.

Ciò detto, la Banca d’Italia, considerando l’elevata percentuale di riserve auree italiane, non ha partecipato in maniera significativa alla descritta corsa all’Oro, al contrario di Cina, Polonia, Turchia, Russia e India. A questo proposito ritengo comunque corretto che il nostro Paese detenga un’importante percentuale di riserve in oro in quanto ciò costituisce comunque un fattore in grado di accrescere la fiducia degli investitori nel nostro sistema finanziario. E quando si hanno 2.900 miliardi di debito pubblico la tranquillità degli investitori è sacra. A chi mi chiede, invece, perché non vendiamo il nostro Oro per diminuire il debito pubblico, rispondo che è anche una questione di cifre: 2.900 miliardi debito pubblico contro 140 miliardi di oro. In realtà, vendendo tutto il nostro Oro copriremmo solamente gli interessi sul nostro debito pubblico per circa un anno e mezzo.

[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al Master in Scienze economiche e bancarie europee LUISS Guido Carli]

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