Commissione UE, allerta Italia per il 2024

I dati della Commissione europea prevedono che nel 2023 il PIL italiano si muova sostanzialmente in linea con quello dei competitor europei: +0,9%. Peggio delle previsioni di maggio ma nulla di drammatico. Il dato italiano di crescita andrebbe, tuttavia, monitorato con attenzione essenzialmente per tre motivi.

Un faro sul 2024 Se è vero che nel 2023 ci stiamo muovendo in linea con gli altri partner europei, un forte faro andrebbe invece acceso sul 2024. I dati della Commissione indicano, infatti, che nel 2024 potremmo tornare nuovamente a essere il fanalino di coda della crescita in Europa (+0,8% contro un +1,3% dell’Eurozona, un +1,9% della Spagna e un +1,2% della Francia). Ritrovarsi in questa situazione dopo l’eccellente performance della nostra economia nel periodo della ripresa post Covid sarebbe davvero un grande peccato. È del tutto evidente che, in questo scenario, la possibilità di non farsi nuovamente distaccare dalle economie europee dipende essenzialmente dalla nostra capacità di utilizzare al meglio i 200 miliardi del PNRR, anche modificato, per stimolare la crescita e sostenere la nostra industria.

L’impatto della performance tedesca – Purtroppo il dato italiano è fortemente influenzato dalla performance tedesca che certamente non brilla. Nel 2023 la Germania sarà l’unica grande economia europea in recessione (-0,4%). E qui il problema è che il 12% del nostro export è rivolto proprio verso la Germania. La nota positiva è che la Commissione prevede che nel 2024 l’industria tedesca si rimetterà in moto tornando così ad assorbire le nostre forniture di beni strumentali, semilavorati e componentistica.

Le conseguenze della politica della Bce sulle PMI – In Italia le aziende, specie quelle medio piccole, sono scarsamente patrimonializzate e quindi più dipendenti dal sistema bancario rispetto ai competitor esteri. Di conseguenza la politica di aumento dei tassi attivata dalla Bce in chiave antinflazionistica non solo ha aumentato il costo del debito delle nostre aziende, non solo ne ha limitato gli investimenti, ma ha anche aumentato il gap tra il nostro comparto produttivo e quello dei nostri competitor esteri. La speranza è che la Bce, dopo dieci aumenti consecutivi dei tassi, considerando il deterioramento dello scenario economico e il progressivo calo dell’inflazione, si convinca della necessità di evitare assolutamente ulteriori aumenti dei tassi di interesse in maniera da ridare fiato al tessuto produttivo. Questo anche per evitare che la corda, già molto tesa e anche piuttosto logora finisca davvero per spezzarsi.

[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al Master in Scienze economiche e bancarie europee LUISS Guido Carli]

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