Camera di Consiglio

INDIGENZA DEL PADRE E CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO DEI FIGLI – Con una sentenza del Tribunale di Treviso, poi confermata in grado d’Appello, un padre veniva condannato a tre mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni non patrimoniali in favore della parte civile, per il reato di cui all’art. 570 bis del Codice penale, per avere omesso di versare il contributo al mantenimento del figlio.

L’articolo in esame, infatti, punisce chiunque si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

La difesa del padre era incentrata sul suo particolarmente grave stato di indigenza. L’uomo ricorreva per Cassazione, attraverso cinque diversi motivi di censura: veniva ritenuto meritevole di accoglimento da parte della Suprema Corte tale motivo di ricorso, vertente sulla mancanza dell’elemento psicologico del dolo. Infatti, la difesa dell’uomo aveva dimostrato che egli si era ritrovato senza sua colpa in stato di assoluta indigenza e, dunque, nell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi imposti dal Giudice civile. Col passare del tempo, infatti, il padre era stato licenziato ed aveva intrapreso senza fortuna alcuna varie attività lavorative e si era ritrovato a dover chieder continui prestiti a parenti ed amici per la propria sopravvivenza.

Secondo la Cassazione, i Giudici d’Appello avevano correttamente richiamato il filone oramai consolidato secondo il quale l’impossibilità di adempiere agli obblighi di assistenza familiare deve essere “assoluta”, che non si può desumere in modo automatico nemmeno in caso di stato di disoccupazione dell’obbligato. Tuttavia, l’assolutezza non può neppure essere intesa nemmeno quale “indigenza totale”, tale da considerare l’obbligato del tutto privo dei mezzi di sostentamento.

La suprema Corte, dunque, evidenziava come dovesse essere effettuato un bilanciamento tra la tutela della prole, bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 570 bis c.p., in quanto familiare più debole, ed i principi di solidarietà imposti dal codice civile, cercando di trovare un punto di equilibrio tra gli stessi, oltre a tenere conto di tutte le peculiarità del fatto concreto.

E’, dunque, meritevole di tutela la necessità per il padre di provvedere alle proprie indispensabili esigenze di vita, tra le quali vitto, alloggio e spese per svolgere l’attività lavorativa, evidenziando i propri sforzi per poter adempiere al proprio obbligo.

Mancava, dunque, da parte del Giudice di merito una disamina circa l’assolutezza dell’indigenza al fine di rilevare l’esclusione del dolo nella fattispecie di reato in esame: si sarebbe dovuto tener conto, secondo la Cassazione, non solo dello stato di occupazione lavorativa del padre, bensì anche della possibilità di quest’ultimo di accedere a risorse economiche ulteriori. Pertanto, la decisione veniva rimessa alla Corte d’Appello.

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