Paolo Conte, via con me (Film, 2022)

Un film che è un documentario canoro, condotto con la voce di Luca Zingaretti, ricco di interventi critici, opinioni di colleghi, giornalisti, amici del cantante, che contiene l’interpretazione autentica che Paolo Conte fornisce sulla sua musica. Giorgio Verdelli monta un collage accurato dei migliori concerti, realizzando un’antologia della produzione musicale, perché un cantante si racconta attraverso la sua musica, soprattutto se è un autore come Paolo Conte, interessato al successo dei brani che ha scritto.

Roberto Benigni dice: “Non cercate significati nella sua musica, abbandonatevi al piacere delle suggestioni, troverete il senso profondo di un’opera unica e immortale”. Partono brani come Sparring partner, Un gelato al limone – cantato in maniera dissacrante da De Gregori, che temeva il giudizio del collega – scopriamo che la seconda è dedicata alla moglie, un uomo regala alla donna che entra nella sua vita quel che più gli piace, un semplice gelato al limone.

Sorprende, ma già lo sapevamo, il fatto che Paolo Conte sia laureato in legge e che per anni abbia esercitato la professione di notaio, lontana anni luce da quella del poeta, vero mestiere dell’artista di Asti. Per anni le due cose hanno convissuto, Conte andava in ufficio e nel tempo libero scriveva canzoni, prima per altri – Caterina Caselli e Adriano Celentano – poi per sé stesso, anche se preferiva restare nell’ombra, affidare al fratello Giorgio la presentazione dei lavori.

Verdelli racconta i primi anni ad Asti con l’orchestra jazz, partono le note di Sotto le stelle del jazz, mentre non possono mancare i giudizi di Stefano Bollani e di Pupi Avati. “Asti è una città dove non si comunica tanto, che non ha avuto poeti, solo autori di tragedie”, dice Conte quando afferma di aver scelto il jazz per rappresentare la sua arte, forse per il suo lato tragico. La passione per la musica è un’eredità di famiglia, i genitori sono entrambi pianisti, il primo amore di Paolo è il trombone (requisito dopo la bocciatura in terza liceo), il fratello suona la batteria, nasce un piccolo gruppo che si esibisce per pochi intimi e partecipa alla Coppa del jazz. “Paolo Conte non è solo bravo, è anche bello, piace alle donne; che invidia…” dice Pupi Avati con un mezzo sorriso. Luisa Ranieri lo definisce un gentiluomo piemontese che potrebbe essere un nobile napoletano; Luca Zingaretti parla di una musica affollata di personaggi strani, atipici, surreali, di un mix tra ironia e grottesco. Renzo Arbore ricorda La Topolino amaranto, una delle prime canzone che ha apprezzato e che fece mandare in onda a L’altra domenica.

Il bello è che Conte, con quella voce unica, si riteneva un autore a disposizione dei clienti, scriveva canzoni immortali come Azzurro, La coppia più bella del mondo, Insieme a te non ci sto più … e le faceva cantare ad altri, per dare solo in un secondo tempo la sua interpretazione. Conte impara a scrivere musica all’Università, durante le pause delle lezioni di diritto, influenzato dagli chansonnier francesi e dalla musica jazz americana, tra gli italiani ama Jannacci e Celentano, la sfida con sé stesso è riuscire a scrivere per loro. Nasce Messico a nuvole e ha la fortuna di incontrare quello che ritiene il più grande cantautore italiano; Paolo Jannacci vede Conte come uno zio (come il titolo di una famosa canzone, appunto, Lo zio), perché è stato sempre presente nella vita della sua famiglia.

Vincenzo Mollica ama Azzurro, canzone che è diventata un inno anche durante la pandemia, cantata dai terrazzi, ma anche la madre di Conte era affascinata da quelle note, quando le sentiva si metteva a piangere, perché possiedono quel tanto di antico e moderno che l’autore ha saputo citare, tra passato e futuro. Conte ricorda di aver lasciato il testo di Azzurro nella bara della madre, il giorno del funerale, perché lo tenesse con sé durante l’ultimo viaggio.

Il film ricorda il Club Tenco e il Premio del 1986 quando Benigni irruppe sul palco tra Conte e De Gregori per intonare a suo modo Sudamerica, pezzo forte che non può mancare nella scaletta di ogni concerto. “Non sono un divo, né un cultore di me stesso, tengo solo al successo delle mie canzoni”, dice Conte, che è molto amato in Francia e che ha avuto la soddisfazione di cantare (con molte repliche) all’Opera di Parigi. Bartali, la vediamo cantata in concerto insieme a Jannacci padre (già sofferente) e figlio, come un ideale passaggio di consegne in vita. Jovanotti canta Bartali, con il suo stile, innamorato di parole tanto splendide e poetiche, intrise di immagini cinematografiche, come afferma Veronesi. Jane Birkin dice di amare Conte, perché è sexy e con la sua voce esprime intelligenza, subito dopo partono le note di Come di, sigla di una trasmissione della radio francese e l’attrice ricorda di aver cantato con lui in uno storico duetto.

In Francia, quando gli chiedevano quale fosse il suo stile, l’autore piemontese non si definiva cantautore, diceva che le sue canzoni erano confusione mentale fine secolo. I francesi apprezzano le persone intelligenti e colte, da quel giorno amano Conte come amano Mastroianni – il colpo di fulmine venuto dall’Italia – lui ricambia cantando in francese Le chic e le charme. Vediamo Bruno Lauzi cantare Genova per noi, poi interpretata da Conte con il suo stile unico, la descrizione di un paesaggio composto da acqua verticale e scogliere, quindi il ritorno nella sua terra piovosa, canzone intrisa di imprevisti e fantasia. Il film Tu mi tubi di Benigni non può mancare, con la colonna sonora di Conte, soprattutto l’episodio più onirico – L’angelo – che scorre sulle note di Vieni via con me.

Gli impermeabili, che piace tanto a Caterina Caselli, racchiude poesia e mistero (Ma come piove bene sugli impermeabili…); non può mancare L’uomo del Mocambo, alter ego di Conte, l’avvocato di Asti, il padrone di un piccolo bar dal nome di gran moda nei locali sul mare. Le canzoni di Conte sono un mix di musica, poesia e pittura, dice Mollica, anche di cinema e fotografia, aggiungiamo, ché  il poeta di Asti è un artista completo. Conte si esibisce a Napoli in napoletano (chiede da buon avvocato le circostanze attenuanti), ama quel pubblico che definisce unico, canta ritmi jazz e afrocubani, mixati da stile personale e musica popolare, con il gusto del doppio senso, della frase a effetto, della rima insolita.

Ascoltare Paolo Conte è come stare nel retrobottega di un caffè napoletano e assaporare un profumo magico, una fragranza misteriosa, andare onda su onda, tra spezzoni di cinema e profumo di mare. Per cosa sarò ricordato? Si chiede. Forse per la musica, conclude, anche se da un po’ di tempo a questa parte pensa che pure i testi possano restare nella memoria collettiva. Va bene per entrambi, conclude con un sorriso. La sola cosa certa è che non sarà dimenticato.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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