Il mondo a modo proprio

Tutti lo chiamavano semplicemente Muro di Berlino, ma per chi lo aveva costruito la denominazione ufficiale era Antifaschistischer Schutzwall, in italiano: “barriera di protezione antifascista”. Letto con gli occhi di quegli anni era una terminologia decisamente forte e, specialmente per chi si trovava sul lato orientale dell’Europa, era un baluardo che difendeva i valori e la purezza dell’ideologia comunista.

È probabilmente una tecnica fortemente manipolatoria quella di dare alle cose il nome con cui la maggioranza vuole che siano definite; che sia la maggioranza di un pubblico o di telespettatori o, più verosimilmente di elettori, è relativo. Ciò che conta è il risultato e il gradimento finale. Possiamo applicare questo concetto magari anche ad una guerra o a un contesto politico.

A Pechino, Taiwan è considerato un covo di ribelli al governo voluto dalla rivoluzione delle masse popolari mentre a Taipei si sentono il legittimo governo cinese momentaneamente in esilio a causa di una ribellione di un manipolo di insorti. Come dare torto ad entrambi? Ma è necessario prendere una posizione.

È sufficiente anche bollare con qualche epiteto più o meno ingiurioso il pensiero di chi la pensa diversamente per sentirsi dalla parte della ragione e ottenere il gradimento di chi non vuole essere etichettato come arcaico, fuori moda, o razzista. Esempi? Li troviamo nel politically correct di cui qualcuno si sente l’assoluto padrone; basti pensare ad un vegano che si definisce evoluto e chiama barbaro un cacciatore o a chi si limita a definire razzisti e fascisti coloro che non vedono di buon occhio i figli in vitro per le coppie omosessuali.

Può essere considerata un po’ l’applicazione ai suoi massimi estremi della cultura del piagnisteo (interessante libro di Robert Hughes che ha l’emblematico sottotitolo de “la saga del politicamente corretto”) ma applicata in una prospettiva non da vittime maltrattate bensì di paladini della correttezza e della ragione. Del resto, scambiando gli addendi il risultato non cambia.

Oggi ne possiamo trovare centinaia di esempi online, leggendo i commenti a qualsiasi vicenda quotidiana che chiunque può commentare fornendo la sua prospettiva e l’interpretazione che più gli aggrada. Iniziamo dal “l’informazione è falsa e di regime”; “non ce lo dicono e vogliono farci stare nell’ignoranza”; “i numeri sono falsi” e così via. Ciò vale anche per le persone: “se lo dice quello lì che è pagato dalle multinazionali è sicuramente falso” e decine di frasi simili; luoghi comuni che si ripercorrono e diventano fin troppo facili stereotipi. Il problema maggiore, tuttavia, si può avere quando le diverse nomenclature e definizioni vengono applicate a eventi quali, ad esempio, una guerra.

Lo sa bene Vladimir Putin che eviterà di parlare di invasione o distruzione dell’Ucraina per motivi economici, limitandosi ad usare parole accattivanti quali “intervento necessario evitare uno sterminio o un genocidio di una minoranza oppressa e imprigionata”, “defastiscizzare una nazione”, salvaguardare l’integrità di un’altra” o altre simili espressioni che vennero utilizzate per giustificare l’intervento sovietico a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968 per non dire quello in Afghanistan del 1979 quando le prime truppe di Mosca intervennero ufficialmente  per accogliere le richieste d’aiuto di Kabul e nel rispetto del trattato di amicizia firmato circa un anno prima.

Non è dato sapere cosa potrà accadere tra Kiev e Mosca, ma è certo che, come in ogni altra occasione e per tutte le parti interessate ad un conflitto, la terminologia usata deve essere valutata con particolare attenzione da ogni osservatore che non voglia cadere nella trappola della mistificazione.

Tuttavia, in questa vicenda, emerge un dato allarmante che è la minacciata uscita della Russia dal sistema internet globale. Se da un lato è ipoteticamente comprensibile l’uso di una determinata terminologia, da nessuna parte è ammissibile la chiusura a tutto un popolo dell’informazione esterna. È una delle massime manifestazioni del potere nei peggiori regimi dittatoriali.

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