Germania, il governo “semaforo”

Mercoledì prossimo assume le sue funzioni il nuovo governo tedesco, presieduto dal socialdemocratico Olaf Scholze. La maggioranza, per la prima volta nella storia della Germania democratica, è composta da una coalizione di tre partiti: PSD, Liberali e Verdi, i cui colori sono quelli di un semaforo. La composizione dell’esecutivo riflette naturalmente la maggioranza: se Scholz è il Cancelliere,il dicastero chiave, quello delle Finanze, è nelle mani di un liberale, tradizionalmente conservatore, pro-business e attento alla spesa. Gli Esteri vanno al leader dei Verdi, Anne Baerbock, il Lavoro resta nelle mani dei socialisti.

L’accordo di governo, contenuto in oltre duecento pagine, è stato negoziato a lungo, non senza momenti di irritazione e quasi rottura. Ha prevalso la volontà di andare al potere, ma è ovvio chiedersi come potrà andare avanti nei fatti una coalizione i cui membri hanno ciascuno idee e obiettivi differenti (e nel passato, opposti). Per esempio, il programma ecologico dei Verdi, se spinto a oltranza, e il programma sociale del PSD, che tra l’altro prevede come punto irrinunciabile la fissazione di un salario minimo e la riduzione dell’orario di lavoro, in principio si scontra con la ben diversa visione dei Liberali. Ci vorrà dunque tutta la tenace pazienza e realismo dei tedeschi per venirne a capo. Insomma, con il ritiro di Angela Merkel finisce un’era di rassicurante certezza e si apre un cammino ancora incognito.

È peraltro rassicurante che la politica estera tedesca non dovrebbe cambiare. Il PSD e i Liberali sono partiti filoatlantici ed europeisti, i Verdi hanno dato recenti prove di essere sulla stessa linea, mostrandosi critici di Cina e Russia.

Certo, Scholze non è Angela Merkel e all’Europa mancherà quell’elemento personale di spinta che essa rappresentava. L’avvenire dell’UE non credo sia in dubbio, ma la sua forza dipenderà ora da altre variabili, e principalmente dal futuro di Macron, assediato a destra dalla canea urlante delle Le Pen e, ora, peggio di tutti, Zemmour.

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