Esportare la democrazia

Il ritorno dei Talebani al governo dell’Afghanistan, dopo 20 anni di presenza occidentale che aveva mutato, almeno in superficie, i costumi della gente, mostra una verità già resa chiara dal Vietnam e da tante altre vicende di intervento occidentale in Paesi di differente cultura e civiltà: vincere una guerra non è troppo difficile, ma costruire un paese nuovo, fondato sulle regole democratiche care all’Occidente (quello che gli americani definiscono “nation building”) è un’impresa disperata.

Gli Stati Uniti si sono a lungo illusi di riuscirci, basandosi sull’esempio del Giappone e della Germania del dopoguerra, ma dappertutto è stato un fallimento. Del resto, anche in America la politica del “nation building” era stata spesso contestata: George W. Bush, durante la campagna elettorale, l’aveva criticata, salvo cambiare idea dopo l’invasione dell’Afghanistan e quella successiva dell’Irak; Trump l’ha più volte derisa; ma Biden, già da Vicepresidente di Obama, si era a lungo opposto a una lunga presenza americana in Afghanistan, ritenendo che la missione propostasi nel 2001 dagli USA era stata compiuta con l’eliminazione di Al-Qaeda e, più tardi, l’uccisione di Osama bin Laden. George Bush padre, del resto, aveva avuto la saggezza di capire che non era conveniente restare in Irak dopo aver obbligato Saddam Hussein a ritirarsi dal Kuwait, e aveva prontamente fermato la guerra.

Joe Biden non ha mancato di riaffermare la sua posizione nelle ultime settimane, negando espressamente l’intento – e la possibilità – del “nation-building”. Ora Macron si è messo sulla stessa linea a proposito del Mali, nonostante la inveterata tradizione coloniale della Francia.

La lezione per l’Occidente è dunque sgradevole ma chiara: pensare di imporre militarmente i nostri valori e le nostre regole in Paesi del tutto alieni ad esse è una costosa illusione. E questa verità ha un corollario molto importante per il futuro: il rispetto della democrazia e dei diritti umani non può essere il metro su cui regolare i rapporti con gli altri Paesi (altrimenti dovremmo rompere ogni rapporto con la Cina e la stessa Russia). Cinismo o “real-politik”, può darsi, e si capisce che ci sono violazioni che offendono e turbano la coscienza occidentale e fanno sì che da una parte almeno dell’opinione pubblica si chieda ai governi atteggiamenti di severa condanna e oltre.

Ma penso sia saggio tornare alle vecchie regole della diplomazia che faceva dipendere i rapporti con gli altri dal reciproco interesse, ferma restando, ovviamente, l’esigenza del rispetto di alcune regole fondamentali, ad esempio l’astenersi dal minacciare i propri vicini o dal sostenere e alimentare il terrorismo. Queste devono essere le linee limite. Che peraltro vanno, con ogni fermezza, fatte rispettare.

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