Parenti serpenti

Beatrice Cenci aveva 22 anni e sul soglio pontificio sedeva Clemente VIII, al secolo Ippolito Aldobrandini, Papa molto rigoroso e dedito alla preghiera, ma come tutti i suoi colleghi anche amante del lusso e fautore di nepotismo. Questa l’epoca e la situazione politica che fa da sfondo a questa tragedia così cupa e crudele, un caso di maltrattamenti in famiglia che sfocia in tragedia.

Siamo nel 1598, quando il barone Francesco Cenci, l’ultimo esponente di una nobile e ricca casata romana, muore nella sua Rocca di Petrella Salto tra L’Aquila e Rieti. La famiglia Cenci si era conquistata ricchezza, onore e fama nel Medioevo e poi nel Rinascimento era diventata una delle più ricche ed influenti famiglie della Roma papalina. Il barone Francesco Cenci nacque a Roma nel 1549 e quando suo padre morì ereditò un immensa fortuna da fare invidia al Papa stesso.

Francesco era un uomo violento e rissoso, oltre che parsimonioso e spilorcio; fu arrestato per molestie sessuali e scagionarsi gli costò una fortuna. La prima moglie che gli diede cinque figli morì giovane e lui si risposò con Lucrezia Petroni, e si trasferì nel suo feudo abruzzese, anche perché a Roma aveva solo nemici, tra i quali il Papa che gli invidiava la grande fortuna. Portò con sé le due figlie e le tenne in una sorta di segregazione, usando loro violenza e seviziandole insieme alla loro matrigna. Ma Beatrice riuscì a scrivere delle lettere a suo fratello Giacomo e ad alcuni parenti, nelle quali si denunciava tutto. Sembra che Francesco quando si accorse di questa corrispondenza epistolare picchiò la figlia fino a quasi ammazzala.
Ma il suo destino era segnato; la ragazza aiutata da quello che forse era il suo amante, in combutta con un altro complice, il 9 settembre del 1598 uccise Francesco a colpi di martello; tumulato il corpo di Francesco, lo buttarono dalle scale di legno della rocca. Una volta tumulato il corpo del defunto barone, la figlia, la moglie e i due sicari partirono alla volta di Roma.

Ma alcuni mesi dopo il Commissario del vicereame di Napoli, Carlo Ticone, fece riesumare il corpo e scoprì la crudele verità. Il caso passò così nelle mani del Pontefice che, attraverso torture e confessioni varie, risalì ai mandanti; furono ritenuti colpevoli del delitto Beatrice, Giacomo, Bernardo e la moglie Lucrezia, vera e sola mandante del delitto. Nonostante l’appassionata requisitoria del Giureconsulto Prospero Farinacci, e l’accusa di violenza sessuale perpetrata ai danni della figlia, il tribunale pontificio nella persona del Papa sancì una condanna esemplare, che doveva servire da monito per i figli di alcune famiglie influenti, affinché, questi omicidi non diventassero tragica consuetudine.

Clemente VIII odiava i Cenci e non gli parve vero di poterli finalmente distruggere, così confiscò i loro beni, compresi i gioielli e il quadro raffigurante Beatrice, attribuito, secondo alcuni a Guido Reni, secondo altri a suo zio; alla fine vendette tutto alla famiglia Borghese che acquistò anche questo famoso dipinto.

L’11 settembre del 1599, appena ventiduenne, Beatrice fu portata su Ponte Sant’Angelo a Roma, davanti a Castel Sant’Angelo, al di qua del Tevere, e fu decapitata, la matrigna Lucrezia subì la stessa sorte, invece il fratello maggiore Giacomo fu squartato e Bernardo il fratello minore, in considerazione della sua giovane età, fu condannato al carcere a vita ma prima dovette assistere alla esecuzione dei suoi parenti e la cosa lo sconvolse a tal punto da renderlo pazzo; così fu internato in un manicomio dove morì e il suo corpo fu gettato via senza sepoltura.

Il corpo della baronessa Beatrice Cenci fu raccolto dai Frati Cappuccini e, insieme a una folla commossa che aveva assistito in lacrime, venne portato in processione fino alla Chiesa di San Pietro in Montorio, dove fu seppellita sotto l’altare maggiore, tutta ornata di rose con il capo poggiato su un piatto d’argento, come omaggio ad una vittima della sopraffazione dei potenti.

E lei, la giovane e bella Beatrice pare che appaia sul luogo dove fu giustiziata nell’anniversario del fatto, vestita di bianco, con l’espressione triste di chi dalla vita ha avuto solo dolore.

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