Jus soli

La questione della cittadinanza agli immigrati nati in Italia è di nuovo al centro dell’attenzione, ora che si attribuisce alla signora Cécile Kyenge l’intenzione di  presentare un apposito disegno di legge. La Ministra ha le sue ragioni, degne e comprensibili, ma dovrebbe capire che non c’è di peggio  per una causa che proporla con il metodo e nel momento sbagliati.

Il metodo: pochi  temi sono tanto delicati e qualificanti quanto quello della cittadinanza. È dunque un tema che va affrontato in modo quasi “costituente”, da una maggioranza ampia e omogenea, attraverso una discussione esauriente e pacata che coinvolga il più possibile anche la società civile, la quale idealmente dovrebbe essere consultata attraverso un referendum orientativo od abrogativo; non può essere lasciato ad un singolo Ministro, in un governo di coalizione che non ha mai messo il punto tra quelli programmatici su cui ha chiesto e ottenuto la fiducia.

Il momento: occorre  veramente un immenso sforzo per pensare che la questione rappresenti  un’emergenza nazionale, da risolvere nei prossimi dodici mesi, e questo in una fase in cui si sono pericolosamente acutizzate tutte le tensioni e si rischia di fare della questione, come sta avvenendo, un terreno di scontro incivile e violento tra squadrismi di destra e di sinistra. Siamo ancora più chiari: la sinistra non ha vinto le elezioni, le ha impattate, non è sola al governo, non rappresenta che un terzo, a malapena, degli italiani: non può imporre in toto la sua agenda politica.

Veniamo al merito della faccenda. Nell’intervista di domenica scorsa a Fazio, il Ministro Alfano ha detto di non volere che l’Italia si trasformi in un’immensa sala parto per chi vuole una cittadinanza. Era una frase ad effetto, ovviamente esagerata, ma qualcosa di vero c’è. Sull’acquisizione della cittadinanza ci sono, da che mondo è mondo, due diverse scuole: quella dello jus soli, propria, per evidenti ragioni, dei grandi continenti d’immigrazione vuoti di abitanti, come quello americano, interessati a popolarsi e quello dello jus sanguinis, caratteristico, per le ragioni inverse, di tutti i Paesi europei. Quanto a noi, è il diritto che prevale sin dai tempi di Roma. SI può obiettare che, nel frattempo, noi siano diventati un Paese d’immigrazione, e quindi dobbiamo essere sensibili allo status di chi viene a vivere e lavorare da noi – e questo è giusto – ma non fa che rendere il problema più complicato, perché non si tratta più di considerare italiani un pugno di stranieri nati casualmente o volontariamente nel nostro territorio – com’era nelle preoccupazioni originarie del legislatore – ma  decine di migliaia di persone, con tutte le conseguenze, attive e passive, di diritti e doveri (oggi, più diritti che doveri) che la cittadinanza comporta.

Oltretutto, non  si deve dimenticare che la cittadinanza italiana equivale di fatto ad una cittadinanza europea. Ogni cittadino italiano che creiamo, è un cittadino europeo, libero di circolare e stabilirsi dovunque, almeno nell’area di Schengen. Sarebbe dunque normale che la nostra legislazione seguisse più o meno quella del resto dell’Europa. Ora, in nessun Paese europeo, neppure nei più “aperti” (come per ragioni storiche è la Francia) la cittadinanza jure soli è automatica. In tutti esistono condizioni restrittive, sia quanto all’età per conseguirla, sia quanto al periodo di permanenza nel territorio o, in molti casi, quanto al periodo di residenza anteriore dei genitori stranieri. Questo è il caso anche in Paesi di grande tradizione in materia di diritti umani, come la Svezia. Perché? Perché la nazionalità non può e non deve essere una specie di premio di lotteria, ma qualcosa di profondamente sentito, se possibile scelto consapevolmente e, sì, magari anche meritato (nella parte fiamminga del Belgio, ad esempio, l’aspirante al permesso di residenza deve passare un serio esame di lingua, costumi e civismo). La legge italiana è ragionevolmente cauta, ma non proibitiva. Allo stato attuale, pone due limiti: la maggior età (18 anni) e una residenza di almeno 10 anni nel territorio della Repubblica. Sono limiti che potrebbero essere corretti senza troppo danno, ma non cancellati. Nel frattempo, è evidente che chi vive da noi deve essere trattato a tutti i fini con gli stessi diritti e doveri di chi è italiano, perché il contrario sarebbe incivile e indegno di noi. Ma la piena cittadinanza è un’altra cosa.

Governo e maggioranza stanno per sedersi attorno a un tavolo per definire un programma  concreto e realizzabile per le vere emergenze italiane dei prossimi dodici mesi. Non so se ci riusciranno, ma è sicuro che più si carica l’agenda di temi impossibili, meno possibilità c’è di un’intesa.  Questo è sperabile lo capiscano il PD e Letta. E personalmente mi auguro che Popolari per l’Italia e Scelta Civica non lascino soli Alfano e il NCD nel far valere il buon senso.

©Futuro Europa®

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1 Commento per "Jus soli"

  1. Giuseppe Boccarello | 16 Gennaio 2014 a 00:01:34 | Rispondi

    Giovanni Jannuzzi sviscera il problema in maniera seria e compiuta. Oltretutto rilevo che negli Stati Uniti, dove vige lo jus soli, è in atto una revisione della materia a causa dell’aumento spropositato del numero delle donne messicane che vanno a partorire in Texas, e poi ritornano in Messico col figlio “americano”.

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