Esercito UE, ipotesi concreta?

Gli europei si aspettano che l’UE garantisca pace e sicurezza e, secondo un’indagine speciale dell’Eurobarometro su sicurezza e difesa (2017), il 75% degli europei è a favore ad una politica di sicurezza e di difesa comune dell’UE. Più della metà, il 55%, è a favore della creazione di un esercito europeo. In un recente sondaggio, dell’Eurobarometro di marzo 2018, il 68% degli europei ha dichiarato di volere che l’Unione faccia di più in materia di difesa. La stessa percentuale si riscontra anche considerando le risposte dei soli cittadini italiani. I leader europei hanno capito che nessuno stato membro può far fronte da solo alle minacce alla sicurezza. Il presidente francese Emmanuel Macron ha dato l’impulso per un progetto militare comune nel 2017 e la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dichiarato, nel suo discorso al Parlamento europeo nel 2018: “dobbiamo lavorare con la prospettiva di istituire un giorno un vero e proprio esercito europeo”. Fare passi avanti verso un’unione della sicurezza e della difesa è stata anche una delle priorità della Commissione guidata dalla von der Leyen. Da qui è partita una prima bozza di accordo che unisce almeno 14 Paesi membri, tra cui Germania, Francia, Italia e Spagna, questi stati hanno trovato un accordo per creare una forza di reazione rapida comune composta da militari di diversi eserciti che potrà muoversi rapidamente all’interno dell’Unione in caso di minaccia. Un progetto a cui potrebbero aderire anche Stati Uniti, Canada e Norvegia, e che potrebbe rappresentare la prima bozza di esercito europeo. Si chiama “First entry force” (o Rapid entry force), ossia forza di reazione rapida, e dovrebbe avere un contingente di partenza di 5mila soldati.

La politica UE comune per la difesa è sancita nel Trattato di Lisbona (Articolo 42(2)). Tuttavia il Trattato sancisce anche il primato della politica di difesa nazionale, includendo anche la partecipazione alla NATO e la neutralità. Un esercito UE non sarebbe alternativo, ma complementare all’Alleanza Atlantica, e vede la possibile partecipazione, o perlomeno il beneplacito, della nuova amministrazione guidata da Joe Biden. Embrioni di una politica comune europea sulla difesa esistono già da tempo, anche se non particolarmente pubblicizzati, probabilmente per motivi politici di opportunità. Il Parlamento europeo ha ripetutamente richiesto di usare tutto il potenziale del Trattato di Lisbona per andare nella direzione di una Unione europea della difesa. Il Parlamento europeo sostiene la cooperazione, l’aumento degli investimenti e la messa in comune delle risorse per creare sinergie a livello europeo e proteggere al meglio i cittadini. Oltre alle difficoltà pratiche, l’UE deve riconciliare tradizioni militari e culture strategiche diverse. Il Parlamento pensa che un Libro bianco dell’UE sulla difesa sarebbe uno strumento utile per sostenere il futuro di una politica europea della difesa.

La difesa UE si basa su due pilastri, il primo è la cooperazione strutturata permanente PESCO (Permanent Structured cooperation), questa è stata avviata a dicembre 2017 e sono 25 gli stati membri UE che vi partecipano. Opera su 47 progetti di collaborazione con impegni vincolanti che includono un comando medico europeo, un sistema di sorveglianza marittima, assistenza reciproca nella cyber-sicurezza, squadre di risposta rapida e una scuola di intelligence UE comune. Il secondo è il Fondo europeo per la difesa (FED), che ha preso vita a giugno 2017 e per la prima volta il budget UE viene usato per co-finanziare la cooperazione nella difesa. Il 29 aprile gli eurodeputati hanno deciso di finanziare il fondo con 7,9 miliardi di euro provenienti dal bilancio a lungo termine dell’Unione (2021-2027). Il FED servirà da complemento agli investimenti nazionali e offrirà incentivi pratici e finanziari alla collaborazione in ricerca, sviluppo e acquisto di nuovi equipaggiamenti e tecnologie militari.

L’UE ha rafforzato la sua cooperazione con la NATO in 74 progetti legati a sette diverse aree fra cui la cyber-sicurezza, le esercitazioni comuni e l’anti-terrorismo. C’è anche un piano per facilitare la mobilità militare in Europa affinché si possa reagire e arrivare nelle zone di crisi più in fretta e più facilmente sia con personale che con equipaggiamenti. Il finanziamento delle missioni civili e militari è stato reso più efficiente. L’UE ha al momento 17 missioni in tre continenti, con diversi tipi di mandato e che impiegano oltre seimila persone fra militari e civili. Da giugno 2017 c’è anche una nuova struttura di comando e controllo per migliorare la gestione delle crisi a livello UE.

Al vertice NATO del 2014 in Galles, i paesi UE membri della NATO si sono impegnati a spendere il 2% del prodotto interno lordo (PIL) per la difesa entro il 2024. Il Parlamento europeo ha chiesto agli stati di mantenere questa promessa. Le stime della NATO del 2019 ci dicono che solo cinque stati (Grecia, Estonia, Lettonia, Polonia e Lituania) spendono più del 2% in difesa. Tuttavia, creare una difesa europea non è solo una questione di spesa ma anche di efficienza. Gli stati membri messi insieme sono secondi solo agli Stati Uniti per spesa militare ma si stima che circa 26,4 miliardi di euro vengano sprecati ogni anno a causa di duplicazioni, eccessi di capacità e ostacoli negli appalti. Ad esempio, rispetto agli Stati Uniti, in Europa ci sono sei volte più sistemi di difesa. L’UE può offrire un quadro per la cooperazione e un incentivo alla collaborazione. Se l’Europa vuole competere a livello internazionale, deve mettere insieme e integrare le migliori capacità. Entro il 2025 la Cina sorpasserà l’Europa e prenderà la seconda posizione fra chi spende di più in difesa.

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