Prospettive 2021-2030 con NgEU

La campagna vaccinale che pare partita adesso con forza sta galvanizzando i mercati finanziari, ma nei fatti solo una vera riapertura senza restrizioni potrà ridare fiducia ai consumatori e fare ripartire i consumi. La politica fiscale espansiva messa in atto in Italia è robusta: 95 miliardi di euro, il 5,6% del Pil, corposo l’ammontare dei provvedimenti previsti nel 2021 (85 stanziati dal governo e 10 in arrivo con il NGEU nella seconda metà dell’anno), dopo i 108 miliardi del 2020. Pil italiano, per recuperare il livello pre-crisi bisognerà aspettare il quarto trimestre 2022. Dai fondi europei NGEU ci si attende un contributo di un punto percentuale di Pil all’Italia in media nei primi tre anni. Nel 2030 il Pil italiano potrà segnare un balzo di oltre dieci punti percentuali rispetto al 2019, con una crescita media nei dieci anni vicina al 2%. Ma solo con un utilizzo efficiente dei fondi del Next Generation EU (NGEU), accompagnato da riforme e da un salto di qualità in termini di produttività, che consentirà di accelerare il recupero nei prossimi tre anni (+3,8% medio annuo tra il 2021 e il 2023) e portare la crescita del Pil in linea con quella degli altri paesi dell’Eurozona.

In merito al rapporto Debito/Pil dell’Italia, dopo il picco 2021 (156%), stando alle previsioni di Prometeia calerà nello scenario base al 135% nel 2030, con riavvicinamento ai livelli pre-crisi. La Cina, che ha già recuperato i livelli pre-crisi alla fine del 2020, è avviata al consolidamento della ripresa (Pil 2021: +8,6%). Negli Stati Uniti accelera la crescita con il maxi-stimolo dell’amministrazione Biden (Pil 2021: +6,2%). L’espansione della politica di bilancio Usa aumenta il rischio di inflazione, ma senza un eccessivo riscaldamento dell’economia: si prevede che la Fed non alzerà i tassi prima della metà del 2023 e anche la Bce continuerà a garantire condizioni favorevoli di finanziamento. Come detto, la ripresa verrà alimentata anche dal NGEU, con un valore stimato in circa 10 miliardi nell’anno in corso, all’Italia sono potenzialmente allocati 209 miliardi di euro da spendere in sei anni (in realtà sono stati definiti 192 miliardi essendo la cifra teorica parametrata al pil). Per l’Italia, Prometeia stima che le spese aggiuntive (dunque non quelle già programmate) finanziate con questi fondi siano pari a 120 miliardi, utilizzando tutti i sussidi a fondo perduto disponibili (81 miliardi) e circa 40 miliardi di prestiti, cui si ricorrerebbe però solo a partire dal 2024. Un ammontare totale in linea con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che tuttavia deve essere ancora presentato a Bruxelles (data ultima il 30 aprile).

Nonostante la volontà espressa dal precedente governo di spendere almeno 81 miliardi di queste risorse aggiuntive nei primi tre anni, e nonostante l’impegno del nuovo esecutivo ad innovare le procedure per renderle più efficaci, Prometeia adotta un’ipotesi di cautela che nel 2021-2023 considera una realizzazione di circa il 70% di quanto pianificato. Ciò in ragione delle criticità nell’attuazione delle opere, evidenti nei ritardi del passato. Il contributo alla domanda sarà in media di un punto di Pil all’anno, che si andrà a sommare al rimbalzo post-pandemia e alle politiche fiscali del governo italiano. Lo stimolo sarebbe importante ma non sufficiente a permettere un pieno recupero dei livelli pre-crisi prima del quarto trimestre 2022. Faremo peggio di altri paesi (Germania e Francia), ma molto meglio rispetto alle due crisi passate, quando i livelli pre-crisi non erano ancora stati recuperati nel 2019, a oltre 10 anni dallo scoppio della prima. In questo contesto, lo spread Btp-Bund potrà scendere sotto i 90 punti base a fine 2023.

Quello che si deve comprendere dal rapporto Prometeia, è che i fondi del NgEU rappresentano un fondamentale strumento per uscire dalla crisi, ma sono forse ancora più importanti nel medio termine, come occasione per intraprendere quell’ammodernamento delle infrastrutture, materiali e immateriali, da molto tempo frenato nel nostro Paese da vincoli strutturali e da carenza di risorse. La crescita della produttività sarà sempre più la chiave di volta per rendere queste trasformazioni compatibili e gestibili. L’utilizzo dei fondi europei dovrà facilitare la messa in campo di alcune delle riforme che da anni l’economia italiana stenta ad adottare, oltre ad avviare riallocazioni verso settori più innovativi così favorendo una ripresa della produttività. E’ necessario che l’utilizzo dei fondi europei non si traduca solo in uno stimolo temporaneo di domanda, non accompagnato da riforme strutturali né in grado di avviare una trasformazione produttiva verso settori con livelli di produttività più elevati. Con un uso appropriato dei fondi NGEU, dopo un quarto di secolo di crescita inferiore a quella dei principali partner europei, potremmo quindi non essere più il “tallone d’Achille” dell’Eurozona, pur non riuscendo a recuperare la distanza che nel frattempo si è aperta. Ma un uso volto solo al breve periodo, senza incidere nel tessuto dell’economia e della burocrazia dell’economia italiana, impedirà di colmare il gap di crescita che si è progressivamente formato negli ultimi 25 anni: il Pil sarebbe superiore al livello 2019 solo del 5,8%, con il debito pubblico ancora al 151% del Pil.

Analizzando l’impatto delle garanzie e dei crediti messi a disposizione nel 2020, è possibile vedere come nella seconda parte del 2020 il tasso di deterioramento dei crediti a famiglie e imprese si è addirittura ridotto rispetto ai valori di fine 2019 e, sotto la spinta delle cessioni al mercato (che hanno beneficiato anche delle misure di sostegno finanziario contenute nel Cura Italia, ovvero della possibilità di convertire le DTA da perdite fiscali in crediti di imposta), anche l’NPL ratio del settore è sceso ulteriormente portandosi al 7.5% (dal 9% del 2019) [1]. Questo anche perché la qualità del portafoglio crediti è decisamente migliorata rispetto alle due recessioni passate, grazie al processo di ristrutturazione delle imprese e alla selezione operata dalle banche che negli ultimi anni ha prodotto “coorti di prenditori” con merito creditizio più elevato.

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