Il nucleare iraniano

Il prossimo avvento di un’Amministrazione democratica negli Stati Uniti ha riacceso le speranze nel mondo che l’accordo del 2015 sul nucleare iraniano possa essere ripreso. Com’è noto. Trump aveva ritirato il suo Paese dall’accordo, che pure era stato voluto e negoziato dagli stessi Stati Uniti, e mantenuto le sanzioni contro l’Iran, inasprendole e mettendosi esplicitamente contro una risoluzione del CdS dell’ONU. Indiscriminato desiderio di distruggere il legato di Barack Obama? Classica irresponsabilità trumpiana? Piatto servilismo verso l’amico Netanyahu? Un po’ di tutto questo. Teheran aveva reagito annunciando di aver ripreso il programma di arricchimento dell’uranio e gli altri contraenti dell’Accordo si erano tutti pronunciati a favore della sua applicazione, Gran Bretagna compresa.

Dopo l’elezione di Joe Biden, il Governo iraniano aveva dichiarato che avrebbe sospeso il programma “cinque minuti dopo l’eliminazione delle sanzioni americane”. Ora, un passo potenzialmente importante è stato compiuto: i Ministri degli Esteri di Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania si sono riuniti per la prima volta dopo anni, esprimendo forte sostegno all’Accordo e invitando Stati Uniti e Iran a riprendere i contatti. C’è un generale sentimento che il momento non sia venuto per estendere l’Accordo o per imporre a Teheran condizioni diverse, come esigeva Trump (in pratica, rinunciare al programma balistico e al sostegno al terrorismo). Evitare che l’Iran divenga una potenza nucleare è un’assoluta priorità e dovrebbe esserlo anche per Israele, anche se il falco Netanyahu farà quanto possibile per sabotare la ripresa dei negoziati.

Un ritorno all’intesa del 2015 e l’annullamento delle sanzioni sono importanti anche per una ragione politica. A Teheran è in corso una sorda lotta tra il Presidente Rohani, che aveva voluto l’accordo, e la fazione conservatrice, che si è espressa in una risoluzione del Parlamento, ponendo il limite del 3 febbraio per l’eliminazione delle sanzioni e il ritorno all’accordo. È chiaro che l’evoluzione dei rapporti con l’Occidente peserà sulle elezioni presidenziali di giugno, con il rischio sempre presenta di una vittoria della fazione ultra.

Per Biden, tuttavia, la questione non si presenta facile. È scontato che egli vorrà riportare gli Stati Uniti nell’intesa, ma dovrà andare con i piedi di piombo, cercando di ottenere tutte le garanzie necessarie per il suo controllo. Né penso che potrà procedere senz’altro a togliere le sanzioni, specie se avrà contro un Senato controllato dai Repubblicani.

Avrà dunque bisogno di tutta la sua esperienza e di tutta la sua abilità, e del pieno appoggio degli alleati europei, che certamente non glielo faranno mancare, e dell’Arabia Saudita, con Israele la principale interessata alla sicurezza dell’area.

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