Un calcio e un mondo che non ci sono più

Le recenti quasi contemporanee morti di due idoli del calcio hanno portato alla memoria immagini non solo di un calcio del passato in cui gli animi si accendevano in maniera diversa, ma anche di un’epoca che, seppur vicina, sembra ormai appartenere ad un passato fin troppo remoto.

Paolo Rossi, il ragazzo dalla faccia pulita a cui si perdonò la squalifica per il calcioscommesse quando portò l’Italia alla  vittoria dei mondiali di Spagna 1982. Fu lui l’eroe di quei giorni in cui gli Italiani uscivano dal buio degli anni 70 e chissà quanti ricorderanno che, dopo i fasti del 1982 e della Juventus terminò la carriera a soli 31 anni dopo due annate non proprio felici con Milan, Verona e il flop dei mondiali del 1986 in Messico. Quei mondiali invece furono la passerella di Maradona: dalla vittoria con la Germania fino al gol del secolo passando a quello di mano di cui mai si è pentito e che gli è stato immediatamente perdonato dal popolo dei fan. Due calciatori diversi sul campo e nella vita; del secondo le pagine di cronaca, specialmente non sportiva di sono riempite.

Oltre all’immagine dei due calciatori tornano alla memoria anche quelle di come il pubblico li seguiva e della società che era, dove le gesta dei calciatori, che si svolgevano rigorosamente di domenica e nelle occasioni comandate. Magari si seguivano ancora al bar, con la schedina in mano e, ancora, con una radio a transistor mentre la domenica si passeggiava con la famiglia. C’era un tempo in cui Tutto il calcio Minuto per minuto, con le inconfondibili voci di Ciotti e Ameri, trasmetteva solo i secondi tempi delle partite. Novantesimo minuto di Paolo Valenti, mostrava i gol in attesa di uno spezzone di una partita. I calciatori stranieri si potevano vedere solo quando giocava la nazionale o ai mondiali; qualcosa che può sembrare preistorico nell’era digitale in cui si può vivere di calcio ogni giorno per tutte le ventiquattr’ore ed in cui l’informazione martellante su smartphone e tablet ci rende edotti dei problemi gastrointestinali di Ronaldo e delle unghie incarnite di Messi e delle prodezze in campo amoroso tra discoteche e locali VIP. Lontani i tempi in cui l’Italietta si scandalizzò quando il calciatore del Milano Germano sposò la contessa Giovanna Augusta senza il consenso del padre di lei.

L’epoca incarnata anche da Rossi e Maradona, è stata forse l’ultima di un calcio dove esistevano ancora le bandiere nelle squadre e che probabilmente è finita con il ritiro di Totti e Paolo Maldini, probabilmente gli ultimi che calciatori che si sono identificati per tutta la loro carriera con un’unica maglia, ultimi simboli del calcio del passato che difficilmente torna in mente se non per qualche rievocazione o, purtroppo, lutti. Quest’anno se ne sono andati anche due altri idoli di quel passato, nel loro caso più remoto ma non certo meno eroico: Pierino Prati e Pietro Anastasi, anche loro abbinati in maniera indissolubile alle maglie rispettivamente di Milan e Juventus.

Oggi il calcio non si è fermato neppure davanti al Covid; è stata una tra le prime attività a riprendere dopo il primo lockdown e sembra che anche adesso si salvi dal blocco. Forse è qualcosa a cui attaccarsi per vedere una via d’uscita o, più probabilmente, sono gli interessi economici che vi gravitano intorno ad evitare la chiusura totale. Viene da chiedersi se i campionati si sarebbero fermati negli anni in cui esistevano pochi programmi, le maglie non avevano sponsor e i volti dei giocatori erano anche quelli di amici con cui, ogni domenica, avevamo un appuntamento fisso e di cui si ricordano ancora a memoria le formazioni. Oggi che certezze può avere un ragazzino che vede ogni anno cambiare metà calciatori della propria squadra? È azzardato dire che il calcio si è spersonalizzato? In ogni caso rispecchia i suoi tempi.

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