Diego Maradona (Doc, 2019)

Un documentario costruito su moltissime immagini anni Ottanta-Novanta (alcune inedite, fornite dalla famiglia Maradona) che pare presagire la morte del campione. Nessun intento agiografico muove il regista indiano (naturalizzato inglese) Asif Kapadia (1976), che si limita a raccontare un’esistenza, senza tacere i momenti di caduta nella polvere, senza enfatizzare i successi, in una parola senza tacere niente, soprattutto senza giudicare. Lo spettatore intuisce che il regista nutre un grande rispetto e molta ammirazione per un calciatore dalle doti fuori dal comune.

Il film comincia con un collage di immagini che ritraggono per brevi flash la parentesi a Barcellona, l’infortunio, il nervosismo di un calciatore che pare finito a soli 24 anni, la resurrezione in una Napoli che lo proclama idolo assoluto. “Quando sei in campo la vita sparisce, non ci sono i problemi, c’è solo la partita, l’avversario”, è il leitmotiv di Maradona che accompagna le immagini fino in fondo. L’arrivo a Napoli è presentato con sequenze d’epoca che ricordano il poliziottesco, un’auto ripresa in soggettiva porta il campione argentino allo stadio San Paolo, la folla paga solo per vederlo, le domande assurde dei giornalisti sui presunti soldi della camorra, infine l’esibizione sul campo. E poi le inaugurazioni, l’amicizia con il cantante neomelodico Nino D’Angelo (che il regista inquadra ma non nomina, forse non lo conosce), Napoli che accoglie e sceglie il suo campione, che lo ama oltre ogni limite.

Kapadia ricorda le origini di Maradona, ci mostra la baraccopoli di Villa Fiorito, periferia di Buenos Aires, una famiglia di umili origini che gli è sempre stata vicina, per la quale lui ha provveduto quando è diventato calciatore di successo. Sentiamo le parole del preparatore personale, Signorini: “Una cosa è Diego, l’altra è Maradona. Con Diego sarei andato ovunque, con Maradona da nessuna parte”. Sono parole che ritorneranno, pesanti come macigni, quando il personaggio prenderà il sopravvento sull’uomo, sul ragazzo venuto dalla periferia di Buenos Aires. Il regista racconta i primi anni nel calcio, aveva 11 anni quando debuttò con l’Argentinos Juniors, poi al mitico Boca Juniors, quindi la Nazionale e l’avventura europea, conclusa a Napoli. È nella città partenopea che nasce il mito, dopo la vittoria con la Juventus del 1985 molti napoletani tengono la foto di Maradona in casa, accanto a immagini divine (San Gennaro) e sopra il letto nuziale.

Kapadia non tace niente, racconta le amicizie pericolose, il clan dei Giuliano, le cene con i nuovi camorristi che vogliono spodestare Cutolo, la protezione offerta, soprattutto la droga, quella cocaina che sarà il dramma del campione. Vediamo la storia con Claudia, la compagna con la quale Diego si fidanza a soli 16 anni, la storia con Cristiana Sinagra, il figlio prima negato, quindi riconosciuto, con l’abbraccio in Argentina, a suggellare la storia.

Il film racconta il mondiale vinto dall’Argentina, il gol di mano all’Inghilterra, la stupenda rete segnata dribblando mezza squadra avversaria per finire in porta con il pallone. Disonestà e genialità, questo era Maradona, campione del mondo in finale contro la Germania e bagno di folla in patria, trionfo che si raddoppia nella stagione italiana 1986-87 con il primo scudetto del Napoli. Il riscatto sociale di una città intera, che vince la Coppa Italia, poi la Coppa Uefa, mentre Diego vive la gioia della prima figlia e cominciano a fioccare gli errori che distruggeranno una vita intera. Diego vorrebbe andare via da Napoli, soffre gli eccessi di una popolarità troppo grande, perde la testa per la cocaina e per le feste proibite, soffocato da un ambiente che lo idolatra e ostaggio di camorristi senza scrupoli. Resta a Napoli controvoglia, vince un nuovo scudetto nella stagione 1989-90, ma la cocaina è diventata troppo importante e i suoi eccessi vanno oltre il consentito. Arriva la vittoria ai rigori contro l’Italia, al Mondiale 1990, con la nostra Nazionale fuori dalla finale, un affronto che non gli verrà mai perdonato, soprattutto il potere gli farà pagare di aver cercato di mettere Napoli e il suo pubblico contro gli Azzurri. Cominciano i guai giudiziari per Maradona, intercettato al telefono, perde ogni protezione – pure la camorra lo scarica – e precipita nel baratro di un processo penale per droga dove patteggia la pena per non finire in galera, quindi subisce una squalifica sportiva per doping. È la fine. Fuga da Napoli: “Quando sono arrivato erano in 85.000 ad aspettarmi. Adesso me ne vado via da solo”, confida.

Il film si conclude con i nuovi arresti a Buenos Aires, la depressione per assenza di calcio, l’ultima intervista rilasciata alla TV argentina, dopo un periodo di disintossicazione dalla droga. E infine l’abbraccio con il figlio napoletano, finalmente riconosciuto, la foto che tutti avrebbero voluto vedere. Maradona è morto. Viva Maradona. Non giudicatelo. Non si giudicano i campioni.

Il film è stato distribuito in Gran Bretagna, il 14 giugno 2019, In Italia solo il 23, 24 e 25 settembre 2019. Adesso lo trovate su Netflix. Presentato fuori concorso a Cannes e candidato ai British Independent Film Awards e al Premio Bafta. Asif Kapadia ci sa fare con l’arte del documentario ed è molto portato per lavori di argomento sportivo. Tra le sue cose migliori il debutto con Indian Tales (1994), il successo con The Warrior (2002), Senna (2010) e il film a soggetto Alì and Nino (2016).

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Regia: Asif Kapadia. Montaggio: Chris King. Effetti Speciali: Jaime Leonard. Musiche: Antonio Pinto. Paese di Produzione: Regno Unito. Lingua: inglese, spagnolo, italiano. Durata: 130’. Fotografia: B/N, colore. Genere: Documentario, biografico, sportivo. Produttori: James Gay-Rees, Paul Martin. Produttori Esecutivi: Asif Kapadia, Geworge Pank, Will Clarke, Julian Bird, Bil Bungay. Casa di Produzione: On The Corner Films. Distributore Italia: Nexo Digital.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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