Smart working, allarme capitale umano

Dallo scorso marzo le vite lavorative e sociali di molti cittadini hanno assunto una forma diversa. Fino ad oggi si è sempre e solo parlato di come lo smart working abbia rappresentato un cambiamento che ha permesso a molte aziende di risparmiare sul costo degli uffici e di ottimizzare il lavoro. Eliminando proprio quello “spazio-tempo” lavorativo tanto da riuscire a farci “teletrasportare” da Dubai a New York per un meeting di lavoro. Come? Semplicemente pettinandoci un po’, mettendoci un filo di rossetto, coprendo le occhiaie, chiudendo la porta della stanza e connettendoci ad un portatile. Et voilá! Certo, le riunioni virtuali esistono ormai da diversi anni, ma con il lockdown forzato sono diventate uno strumento necessario ed indispensabile.

Senza dubbio, tutto ciò ha reso, a livello pratico, molto più semplice il lavoro delle grandi e medie imprese, soprattutto quelle definite “digitalizzate”, ma ha causato una forte regressione e scompenso per quelle che invece sono le relazioni sociali ed umane tra i lavoratori.

Immaginiamo, ad esempio, la vita di una qualsiasi persona. Madre, padre, moglie, marito ed insieme lavoratore o lavoratrice, che aspettava il lunedì per potersi dedicare al suo lavoro e, quindi, anche a sé stesso per “staccare” dalla vita personale, quella che si vive fuori dall’ufficio. In che modo? Anche solo scendendo dieci minuti a prendere un caffè con un collega. Perché, oltre alle responsabilità legate alle dinamica del lavoro, c’è anche una componente “umana”, che non va dimenticata e che rappresenta una parte integrante dello stesso lavoro che si sta svolgendo.

Ma il cosiddetto “ambiente sociale”, caratteristico del luogo di lavoro, dov’è finito? Si è digitalizzato anch’esso come il lavoro in sé che si è trasformato in “smart working” e quindi anche in parte appiattito.

Tutte queste dinamiche social ed intangibili sono sparite, si sono trasformate in chat di gruppo o in videochiamate, che non possono di certo essere paragonate ad una vera e propria pausa pranzo passata insieme tra colleghi, in cui la maggior parte delle volte si trattava di un’occasione per poter condividere le proprie vite e non vedersi solo come “colleghi”, ma anche come individui che hanno esigenze sociali di relazionarsi gli uni con gli altri e di confrontarsi. Del resto, l’essere umano è un animale sociale e non riesce a stare da solo.

Probabilmente, questo cambiamento repentino della routine lavorativa non è stato così positivo come invece può essere stata l’ottimizzazione dei tempi e degli spazi aziendali. Molte aziende, soprattutto le multinazionali, hanno deciso di eliminare completamente il luogo fisico di lavoro ed hanno preferito fornire l’attrezzatura necessaria ai dipendenti per lavorare “comodamente” da casa.

Questo ha determinato che le case siano diventate ormai un unico luogo. Il luogo in cui viene accumunata prima di tutto “la casa”, quindi il nostro spazio familiare, la nostra intimità e zona di confort, ma (da qualche mese a questa parte) anche “il lavoro”, quindi l’ufficio e di conseguenza anche impegni, scadenze e responsabilità: problematiche e stress aggiuntivi oltre a quelli anche banali già presenti all’interno delle mura domestiche e nelle nostre vite quotidiane.

C’è chi ha la fortuna di avere una stanza in più che è quindi riuscito ad adibire a “studio-ufficio”, ma c’è anche chi (in tanti) è stato costretto ad arrangiarsi, a ritagliare uno spazio della sua casa, come il salotto, la cucina o la camera da letto per potersi ricreare una postazione di lavoro accettabile. Sono disagi, non solo a livello di spazio, ma soprattutto in termini relazionali e sociali anche nell’ambito dei nuclei familiari.

Quanti di noi hanno affermato “beh, si sta bene a lavorare da casa, ma in effetti un po’ mi manca prendermi un caffè con i colleghi!”. Il rischio è di rinchiudersi sempre più nelle nostre nuove “fortezze”, le nostre case, che da alcuni mesi sono diventate il nostro unico spazio sociale, il nostro “tutto”.

Soluzioni? Certo non possono trovarle i lavoratori da soli e sarebbe invece utile che le aziende valutassero questa problematica e che si attivassero per incentivare le relazioni sociali tra i dipendenti. Ad esempio, organizzando riunioni sporadiche (sempre nelle doverose misure di sicurezza anti-Covid) oppure organizzare almeno una giornata di lavoro “in presenza a turni” in ufficio, come già alcune aziende stanno facendo.

L’ambiente sociale lavorativo è un’importante componente aziendale e per evitare l’alienazione è quindi fondamentale non trascurare i lavoratori come “esseri sociali” abbandonandoli a sé stessi e percependoli solo come “forza lavoro”.

Ora più che mai, il capitale umano non deve essere trascurato, poiché è uno dei pilastri portanti della “struttura-organizzazione-funzionamento” di un’azienda. Al di là delle differenze tra piccole e grandi imprese.

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