A colloquio sull’Europa con Paolo De Castro

Ha 62 anni e dopo aver conseguito la laurea in Agraria presso l’Università di Bologna Paolo De Castro ha svolto un periodo di specializzazione in economia dei sistemi agroalimentari negli Stati Uniti presso la Washington State University di Pullman. Attualmente è professore ordinario di Economia e politica agraria presso l’Università di Bologna. La sua carriera accademica è stata densa di riconoscimenti sia a livello nazionale che internazionale. La carriera scientifica di De Castro è stata inoltre arricchita dalla partecipazione a numerosi comitati scientifici internazionali, tra i quali si annovera la presidenza del Comitato scientifico del Centro internazionale di alti studi sull’agricoltura mediterranea (Ciheam), anche da ruoli manageriali, tra i quali la presidenza dell’Istituto di Studi economici Nomisma. De Castro è autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche: particolarmente citati risultano i suoi contributi scientifici sui temi della sicurezza alimentare e del ruolo del commercio internazionale nello sviluppo della società moderna. Su tali argomenti ha pubblicato diversi saggi, alcuni dei quali pubblicati in diverse lingue; inoltre è stato tre volte ministro dell’Agricoltura ed è stato vice-presidente della commissione Agricoltura al Senato. Membro del Parlamento europeo dal luglio 2009 e designato presidente della commissione Agricoltura, ha ricoperto questo ruolo fino al 2014, guidando il team negoziale del Parlamento europeo durante l’intero iter della riforma della Politica agricola comune per il periodo 2014-2020. Rieletto nel luglio 2014, Paolo De Castro è stato fino al termine del mandato Primo vicepresidente della stessa commissione Agricoltura. Alle elezioni del 2019 è stato rieletto nella circoscrizione Nord-Est. Attualmente è Coordinatore S&D alla commissione Agricoltura del Parlamento Ue, membro effettivo delle commissioni Bilanci e Commercio internazionale, e relatore per il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti con gli Stati Uniti (Ttip).

Onorevole De Castro, la Brexit è passata momentaneamente in secondo piano come notizia a causa dell’emergenza Covid-19, ma il problema non è ovviamente risolto. Ora siamo nel periodo di transizione di un anno per cercare quell’accordo che non è stato possibile trovare finora. Quali sono le prospettive che vi ha riportato il capo-negoziatore Ue, Michel Barnier?

I negoziati con il Regno Unito, dopo un paio di settimane di stallo, sono ripresi in formato ristretto il 29 giugno scorso con David Frost e il suo team. Barnier ha dichiarato di voler “sfruttare al massimo i nostri colloqui nelle prossime settimane e mesi. Il nostro obiettivo è una relazione futura completa con il Regno Unito. L’Unione europea rimane calma e unita nei suoi principi e valori”, ma Barnier ha sottolineato che “l’integrità del nostro mercato interno deve essere preservata”.

Il vice-presidente Sefcovic ha dichiarato che il ministro Gove, capo-negoziatore per il Regno Unito, ha escluso la possibilità, peraltro prevista, di un prolungamento di un ulteriore anno del periodo di transizione. A suo parere quale significato possiamo dare alla decisione di Boris Johnson di uscire comunque, con o senza accordo, a fine anno?

Le agenzie di stampa negli ultimi giorni distribuiscono un continuo susseguirsi di dichiarazioni che evidenziano quanto difficile sia la trattativa. Sulla possibilità di chiudere un accordo commerciale con Bruxelles il primo ministro britannico si è detto “un poco più ottimista” di quanto non sia il negoziatore Ue, Barnier. Il quale ha riferito che le divergenze tra le parti rimangono profonde, e in ogni caso ha ricordato che Londra nel negoziato deve rispettare la posizione Ue. Johnson ha quindi ribattuto che “c’è un buon negoziato da raggiungere, ma ovviamente se non ci riusciamo avremo la buona opzione di un accordo stile Australia”.

L’atteggiamento di Londra pare essersi irrigidito e avere provocato analoga e comprensibile reazione presso il Parlamento europeo, almeno stando a un documento interno pubblicato da The Guardian. Lei stesso ha recentemente dichiarato di avere la sensazione che il Governo inglese voglia sfruttare a suo vantaggio la crisi pandemica per ottenere spazi e vantaggi commerciali. Quali possono essere le conseguenze di una guerra commerciale senza regole Ue-UK?

Ho già detto, e ne sono convinto, che nel negoziato post-Brexit l’Europa non può rinunciare ai principi di uguaglianza e solidarietà alla base del suo modello sociale, né tanto meno intende riaprire, come chiede Londra, il dossier sulle Indicazioni geografiche agroalimentari Dop e Igp, che sono chiaramente tutelate nell’accordo di recesso dall’Ue.

Il nodo cruciale su cui si era bloccato anche il Governo di Theresa May rimane il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, 275 punti di confine contro i 137 totali del confine europeo a Est: un problema enorme da risolvere soprattutto di ordine politico e sociale per il Regno Unito. Un ventilato confine in mezzo al mare ha già scatenato le ire del Dup, ci sono prospettive reali di giungere a una conclusione?

Al momento non possiamo che constatare quanto il negoziato sia tutto in salita, anche se restiamo fiduciosi su un’evoluzione più costruttiva delle trattative nei prossimi mesi per scongiurare un ‘No deal’, nel nostro mutuo interesse. Al Parlamento europeo abbiamo già riaffermato che un accordo post-Brexit non può prescindere da condizioni di concorrenza leale per i nostri produttori, aziende, cooperative: in una parola, l’integrità del mercato interno e la parità di condizioni tra i cittadini sulle due sponde della Manica, il cosiddetto ‘ level playing field’. Non riesco proprio a immaginare, in assenza di un accordo, le file chilometriche di camion carichi di merci, da e per l’Irlanda, che si formerebbero nel transito in territorio britannico, paralizzando di fatto gli scambi per fare i controlli doganali. Un’ipotesi aberrante resa ancora più assurda dagli effetti economici provocati dalla pandemia da Covid-19. L’ex-presidente della Commissione, Romano Prodi, ha osservato che il salto anti-crisi che l’Europa sta realizzando non sarebbe mai potuto avvenire con la Gran Bretagna dentro l’Ue. Anche per questo resto convinto che Londra rimpiangerà la scelta di uscire dall’Unione. Noi, nella trattativa di divorzio, siamo pronti a dare tutte le chance per un buon negoziato, ma non lo siamo a qualunque prezzo.

Il discorso Brexit si intreccia strettamente con quello che è il suo specifico campo di azione, l’agricoltura. L’uscita di Londra dalla Ue comporta ad esempio il ridisegno delle zone di pesca, la perdita della tutela comunitaria per i prodotti Dop-Igp. In uno degli ultimi Agrifood di Nomisma, il Consorzio del Parmigiano Reggiano ci ha raccontato di avere registrato il marchio ‘Parmesan’ per evitare che con la Brexit produttori statunitensi potessero usarlo a loro vantaggio, questa è un’altra implicazione di una possibile uscita ‘No Deal’?

Certamente. Le Denominazioni d’origine e Indicazioni geografiche protette non a caso sono state oggetto di una recente raccomandazione per i negoziati su un nuovo partenariato tra UE e Regno Unito che abbiamo votato a larga maggioranza in Assemblea plenaria. Nel testo abbiamo inserito diversi riferimenti alla protezione dei nostri standard produttivi e di sicurezza alimentare. Capisaldi che il Regno Unito, insieme alla protezione delle Indicazioni geografiche minaccia di voler sacrificare pur di chiudere accordi con altri partner commerciali, a partire dagli Stati Uniti. La vicenda del ‘Parmesan’ ha fatto scuola.

Lei è relatore del Ttip, recentemente abbiamo visto la nascita del Ceta e del Jefta, i trattati internazionali sono spesso attaccati da alcune frange dell’opinione pubblica a sproposito. L’esempio richiamato del Parmesan vale viceversa per il Prosciutto di Parma che in Canada, pre-Ceta, era stato registrato da un’azienda canadese. Ci troviamo in una situazione in cui gli attori del mercato, i vari Consorzi del Prosciutto, Parmigiano, Prosecco, premono per accordi che tutelino le indicazioni d’origine, parte dell’opinione pubblica li avversa senza avere gli strumenti necessari per valutarli. Ritiene ci sia un problema comunicativo tra le attività che l’Europa mette in campo e le notizie che arrivano ai cittadini?

Partiamo dal presupposto che gli accordi internazionali, per definizione, non sono tutti buoni. E comunque non si possono demonizzare, se risultano sgraditi a qualcuno, e non si possono esaltare quando producono qualche successo commerciale. L’opinione pubblica è bene però che segua con attenzione le modalità di questi accordi, soprattutto in un settore come quello agroalimentare che nel quadro più generale dell’economia ha un peso specifico più debole. Poi, se lei mi chiede che effetti ha prodotto il Ttip, le rispondo che da quattro anni non si è mosso nulla, perché più che a un dialogo con gli Stati Uniti abbiamo dovuto assistere all’escalation di una vera e propria guerra commerciale. Una rappresaglia partita l’autunno scorso che è entrata nel vivo con l’applicazione di pesanti dazi anche per le nostre produzioni agroalimentari di eccellenza.

In campo agricolo e sempre riferito ai trattati, ma non solo, una delle maggiori preoccupazioni dei consumatori sono gli Ogm. Può dire quale è la situazione in tale ambito? Alcuni Ogm possono mettere al sicuro le coltivazioni dai parassiti ad esempio? La legislazione cambia da Paese a Paese, in Italia non si possono produrre, è prevista una normativa unica in tale senso? I trattati internazionali stipulati servono anche a dare certezze e tranquillità ai consumatori?

L’annosa controversia tra sostenitori e detrattori degli Organismi geneticamente modificati non ha più ragione d’esistere. L’Italia ha preso una posizione netta già alcuni anni fa, insieme ad altri 16 Stati UE, vietandone la produzione e la sperimentazione in campo. Come Parlamento europeo, insieme a Commissione e Consiglio Ue, siamo già orientati a legiferare per fare chiarezza una volta per tutte sull’opportunità di applicare in agricoltura le nuove biotecnologie per la difesa assistita delle piante; tecniche che nulla hanno a che vedere con gli Ogm perché escludono il trasferimento di materiale genetico tra specie diverse. E’ un obiettivo che ci siamo dati entro questa legislatura anche per informare e tutelare correttamente i consumatori.

Possiamo dire che dopo anni di urbanizzazione e abbandono della terra si vede un grande ritorno di interesse per l’agricoltura? In particolare per gli under 40 che sfruttano le possibilità dell’Agricoltura 4.0; nel report Agrifood Giovani dello scorso anno presentato da Denis Pantini, direttore dell’Agrifood Monitor di Nomisma, si leggeva come le aziende agricole gestite da under 35 ottenessero risultati superiori di 4 volte rispetto alle metodologie tradizionali. E il bando Ismea pare abbia avuto una vera esplosione di richieste: forse è ora di mettere da parte la vecchia immagine del contadino con la zappa e vedere l’agricoltore come un evoluto imprenditore che usa trattori con il Gps?

L’immagine bucolica di un’agricoltura praticata con ‘animali da lavoro’ e semine a spaglio è tramontata da un pezzo e appartiene ormai alle iconografie. L’interesse dei giovani per un ritorno alla terra, con tutto ciò che ne consegue, a partire dall’assunzione del rischio d’impresa, è sicuramente un buon segnale, confermato dai numeri emersi a seguito dei bandi Ismea. Ma per parlare di un successo dell’Agricoltura 4.0 è presto. La superficie agricola in Italia gestita con tecniche e strumenti digitali non raggiunge neppure il 10% del totale. E nonostante gli incrementi a due cifre nel ricorso a precision farming e droni, soprattutto tra gli under 40, mancano all’appello investimenti strutturali importanti che lascino pensare a una nuova rivoluzione verde.

Per finire, cosa possiamo aspettarci dalla Pac 2021-2027?

Una Politica agricola comune che, non a caso, sarà parte integrante del New Green Deal lanciato dalla Commissione europea, con le due strategie Farm to Fork e Biodiversity. Un patto per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, con un forte coinvolgimento dell’agricoltura e investimenti finanziari senza precedenti nella storia dell’Unione, che saranno possibili anche grazie al Next Generation Eu in attesa di approvazione da parte dei 27 partner. Intanto, l’attuale Pac è stata prorogata per i prossimi due anni. E questo, in attesa del Quadro finanziario pluriennale 2021-27, che dovrà portare in dote adeguati incentivi a produrre di più e meglio, garantirà certezza giuridica ai nostri agricoltori e alle nostre aree rurali, consentendo loro di programmare con maggiore tranquillità i piani aziendali durante il periodo transitorio. Il biennio transitorio permetterà inoltre di completare diversi programmi operativi di sostegno a settori e produzioni strategiche, come apicoltura, vino e olio d’oliva, e di rafforzare le misure di gestione del rischio, abbassando dal 30 al 20% le soglie minime di perdita per l’attivazione dei fondi mutualistici contro le avversità atmosferiche e dello strumento di stabilizzazione dei redditi aziendali.

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