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TRATTATIVA STATO-MAFIA,  IN CORSO IL GIUDIZIO DI APPELLO.  QUALI SONO I CAPI DI IMPUTAZIONE? – Il processo comunemente definito “Trattativa Stato-Mafia”, si è concluso in primo grado con pesanti condanne e si trova adesso in fase di appello. Si parla di “trattativa” in quanto si contesta una concertazione tra “Cosa Nostra” ed alti organismi statali finalizzata a porre fine alle stragi degli anni ’90, da Capaci a Via D’Amelio; una stagione iniziata con l’omicidio di Salvo Lima.  La “richiesta” di Cosa Nostra sarebbe stata attenuazione delle misure per combattere la mafia, in particolare l’abolizione dell’art. 41 come richiesto nel c.d. “papello” di Totò Riina.

Ma quali sono in realtà i capi di imputazione di un processo da prima pagina? E’ opportuno chiarire immediatamente che non è contestato alcun reato associativo o di stampo mafioso: il principale capo di imputazione è il delitto di “Violenza e minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o i suoi singoli componenti”. E’ l’art. 338 Codice Penale, contestato nella forma aggravata. In primo grado, tutti gli imputati sono stati condannati.

Per quanto riguarda gli appartenenti a “Cosa Nostra” la condanna è stata perché le stragi e le minacce erano finalizzate a “piegare lo Stato sino a far sì che siano violate le leggi che il medesimo Stato si è dato”, e, dunque, rafforzare “l’associazione mafiosa nel suo complesso contribuendo al perpetuarsi del suo potere”. E tale minaccia “è stata poi effettivamente percepita dal suo destinatario (il Governo della Repubblica) e, dunque, consumata”.

La condanna per gli esponenti titolari di incarichi pubblici, invece, si basa sulla circostanza che costoro avevano dolosamente omesso, tra l’altro, di dare notizie alla Magistratura di ogni circostanza idonea a perseguire i membri di “Cosa Nostra”, facendosi così veri e propri ideatori ed istigatori facendo sorgere o rafforzare il progetto criminoso. Una “trattativa” con esponenti mafiosi, secondo i giudicanti, non può in alcun caso ritenersi lecita.

Nella stessa vicenda è coinvolto anche l’ex Ministro Calogero Mannino, che ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto sia in primo che in secondo grado. Le imputazioni erano le medesime: essersi reso disponibile alla trattativa ed avervi partecipato attivamente abusando dei propri poteri. Ma, secondo i Giudici, tutte le testimonianze raccolte “non assumono adeguata capacità probatoria”. L’assoluzione per Mannino è stata pronunziata per non aver commesso il fatto, ed è stata confermata anche in Appello, dove è stata “acclarata l’assoluta estraneità […] a tutte le condotte materiali contestategli”. Viene da chiedersi come mai le dichiarazioni degli esponenti mafiosi sono state ritenute, in tale caso, veritiere mentre hanno portato ad una condanna per altri imputati.

La mole di un incartamento processuale come questo, di sicuro non agevola ad effettuare una precisa ricostruzione dei fatti. Non è possibile quindi fare altro che attendere l’esito dell’appello in corso e confidare che non vi siano incongruità tra le sentenze.

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