L’impeachment

Il Senato degli Stati Uniti ha ascoltato le dichiarazioni di chiusura di accusa e difesa di Donald Trump nella procedura di impeachment promossa dalla Camera dei Rappresentanti e sta per pronunciare la sua “sentenza”. Che essa sia favorevole a Trump non vi è il minimo dubbio. Un Senato a maggioranza repubblicana non condannerà mai alla rimozione, specie in un anno elettorale, un Presidente del suo stesso partito. La cosa era scontata fin dall’inizio. L’inchiesta condotta dalla Camera ha largamente dimostrato la colpevolezza di Trump nell’affare ucraino, ma non poteva bastare, davanti a un Senato diviso su linee rigidamente partitiche. D’altra parte, il rifiuto ad ascoltare nuove testimonianze (tra cui quella, potenzialmente dannosa, dell’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton) ha rapidamente mostrato i sentimenti dominanti tra i Repubblicani.

Se tutto questo era prevedibile e scontato, c’è da chiedersi perché i Democratici hanno iniziato un processo condannato all’insuccesso. Forse qualcuno ha sperato che la coscienza e il senso delle istituzioni spingesse alcuni Senatori repubblicani ad agire differentemente, ma era un calcolo politicamente ingenuo. Nessun parlamentare candidato alla rielezione – e costretto a passare prima per le primarie interne al partito – può permettersi di “tradire”. Va inoltre considerato che le colpe attribuite a Trump, per quanto serie e provate, integrano uno di quei casi di alto tradimento o corruzione che renderebbero impossibile difenderlo. Tanto più che egli mantiene una larga popolarità nel suo elettorato, l’economia va bene e gli USA non sono entrati in un nuovo conflitto.

La vera risposta all’azione dei Democratici sta nella speranza di danneggiare seriamente l’immagine di Trump e indurre una parte dell’opinione di centro che lo votò a dargli le spalle. Non so quanto questa speranza sia fondata. Vi è persino da pensare che l’attacco democratico, approfondendo la netta divisione nel Paese, possa motivare le schiere trumpiane e alla fine giovare alla popolarità del Presidente.

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