Celebrità online, a quale prezzo?

Riprendendo una famosa frase che viene attribuita ad Andy Warhol, tutti hanno la possibilità di essere famosi per quindici minuti. Mai affermazione è più veritiera nell’epoca di internet, in cui basta il post adatto o il video giusto per diventare “virali”, fare il giro del mondo, avere qualche milione di like e followers, e poi magari scomparire nel dimenticatoio della memoria umana, ma non da quella della Rete.

Lo sanno bene alcune ragazze che hanno mandato in giro loro foto intime o in atteggiamenti particolari, che sono state divulgate dal destinatario di cui si fidavano. Lo sa bene una ragazza di nome Denise che ha diffuso in rete le proprie foto nuda e si è licenziata, confidando di iniziare una nuova carriera forse come influencer o blogger, ma che nelle interviste dice di sentirsi realizzata. Dice che è una forma d’arte la sua. Nel primo caso non deve essere stato piacevole per le ingenue vittime della loro incoscienza, mentre nel secondo caso tutto sembra studiato a tavolino per cercare di avere una visibilità che la vecchia TV e la carta stampata difficilmente riescono a dare.

Una celebrità non voluta l’hanno ottenuta anche un gruppo di artisti, o performes, come preferiscono definirsi, che hanno volutamente realizzato un video di protesta e sensibilizzazione nudi, ed hanno ottenuto il loro scopo di lanciare un messaggio. Anche vedere condiviso il loro video su YouTube e avere il loro nome ai primi posti sui motori era una loro ambizione, e ce l’hanno fatta: il messaggio è stato lanciato. Il problema che non si aspettavano di affrontare è stato però che il messaggio è stato raccolto anche su siti pornografici, dove il loro video, si sottolinea, non scandaloso, è presente e per trovarlo basta digitare i loro veri nomi. Forse non era la loro ambizione, ma è una conseguenza semplicemente logica in un mondo, quello virtuale, in cui l’algoritmo di un’immagine o di una parola chiave, diventa incontrollabile e comunque è a portata di mano anche per il più sprovveduto hacker o dilettante pirata informatico.

Se esprimere un’opinione in una conversazione tra amici vuol dire attendersi le normali reazioni di chi la pensa diversamente, ma magari aprire una semplice e forse costruttiva conversazione, mettere la stessa opinione on line vuol dire aspettarsi la reazione di tutta la rete: un miliardo almeno di navigatori che possono non solo pensarla diversamente, ma che sono anche liberi di esprimere il loro dissenso nella maniera più becera e violenta.

Internet ha creato molte nuove professioni come, appunto, l’influencer, ma anche altri passatempi quali, ad esempio gli haters. Quelli che qualcuno, cercando di minimizzare il loro peso, definisce invidiosi. Non si mette in dubbio che vi sia una forte componente di invidia verso chi ha successo, ma la reazione degli haters in rete è uno dei prezzi da pagare. Chi non è pronto ad affrontare un numero potenzialmente infinito di nemici, magari anonimi, ci pensi due volte prima di usare la tastiera.

Corrono il rischio di una shit storm, fatta non solo di insulti in rete, di migliaia di messaggi di offese e minacce, ma corrono il rischio anche di aggressioni fisiche. Non è accaduto forse a Liliana Segre? Una nota marca di dolciumi, nel pubblicizzare un suo prodotto parlò della bontà degli ingredienti tradizionali, burro e uova, e venne fatta oggetto di una pesante campagna denigratoria da parte di animalisti e vegani. In questo caso probabilmente l’attacco ha portato effetti di una maggiore visibilità, ma in quanti sono in grado di difendersi? Ripensiamo al caso di un ristorante che è stato oggetto di pesantissimi attacchi perché un suo cameriere aveva usato un epiteto omofobo nell’ordinazione di due clienti. L’aver licenziato il cameriere in questione non ha evitato a questo locale attacchi che ben potrebbero essere definiti da codice penale.

I commenti degli animalisti nei confronti anche di una semplice macelleria non sono certo da meno. Il rischio che una battaglia teoricamente giusta trascenda, e il web ne ingigantisca i contenuti, è altissimo.

Ultimo esempio, in ordine di tempo, in attesa del prossimo caso, è la vicenda di Erika, la ragazza che ha inviato (o postato) una sua foto mentre mostra il dito medio davanti a Salvini che dorme. Chissà se era davvero una goliardata, uno scherzo, una simpatica presa per i fondelli degli amici e dei reali destinatari del messaggio, ma la ragazza è stata vittima di episodi di cyberbullismo che l’hanno vista costretta (?) a una lettera aperta in cui cerca di giustificare il suo gesto.

Troppo tardi. Oggi prima di mettere anche solo un like ad un commento che altri non apprezzano, bisogna pensarci due volte e avere già pronte le proprie giustificazione e una linea di difesa. A meno che non si accetti preventivamente quello che è il prezzo di diventare famosi sul web.

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