Il senso dello Stato

La clamorosa gaffe della consigliera grillina Sara Marcozzi che in un post su Facebook ha definito Giuseppe Conte il miglior presidente del consiglio dopo Pertini, ha ovviamente scatenato l’ironia del web e costretto la pentastellata a modificare il testo e definire il premier scelto da Lega e grillini “il miglior uomo delle istituzioni dai tempi di Pertini”. Una gaffe frutto di ignoranza o, come si è giustificata la stessa Marcozzi, un post scritto troppo in fretta senza rileggere? Restiamo in un amletico dubbio, ma il dubbio sullo spessore di un uomo politico, sul suo valore, sulle capacità di adempiere ad un importante incarico istituzionale, ben può essere ragionevolmente porsi in ogni mente, e chiedersi quale sia il significato da attribuire a queste qualifiche e chi possa essere definito anche solo semplicemente uomo delle istituzioni.

Sicuramente, Conte non ha avuto un ruolo facile nei suoi mesi nella carica di premier: ha avuto il compito non semplice di non dover apparire una marionetta manovrata, a turno, dai suoi vice premier e, ben si può dire, ha adempiuto all’incarico in maniera migliore di come ci si potesse immaginare, quando esordì dicendo di voler essere l’avvocato difensore del popolo italiano. Non era certo il popolo l’imputato da difendere; da che cosa? Certo, le sue parole cariche di entusiasmo dovevano essere ben più misurate ma, come avvocato, avrebbe dovuto evitare di avallare un “contratto” tra due partiti e chiedere un programma o progetto politico, come è sempre avvenuto nelle precedenti legislature. Nella terminologia giuridica non possono essere usati sinonimi e, visti anche i risultati dell’esperienza governativa giallo-verde, è evidente il mancato funzionamento di un contratto che, si deve ribadire, non è un programma.

In ogni caso il riferimento errato a Pertini fa nascere spontanea la domanda su chi possa essere stato il miglior presidente del consiglio, nonché chi veramente possa definirsi un uomo delle istituzioni. Per la seconda categoria è fin troppo facile fare i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e insieme a loro tutti coloro che sono morti combattendo mafie e criminalità. Ma anche quello di Libero Grassi, l’imprenditore siciliano che pagò con la vita il suo rifiuto di cedere alle estorsioni mafiose. Grassi si dimostrò “uomo delle istituzioni” credendo nello Stato cui si affidò per essere tutelato nei suoi diritti. Quelli che uno Stato deve garantire ai cittadini.

Uomini delle istituzioni sono però anche Antonio Annarumma, nome che forse a molti dice poco. È la prima vittima degli anni di piombo. Era un poliziotto di ventidue anni, che venne ucciso da mai individuati manifestanti facenti parte di un corteo di protesta marxista-leninista cui si unirono studenti del neonato movimento studentesco. Aveva ventidue anni, gli stessi di molti dei partecipanti al corteo, e probabilmente aveva scelto di entrare in polizia perché la sua famiglia non poteva mantenerlo come quegli studenti. Le cronache riferiscono che del suo stipendio di ottantamila lire, ne mandasse la metà alla famiglia, in provincia di Avellino. Nessun colpevole all’esito delle indagini.

Ma anche quando si parla di uomini politici, non si può fare a meno di prendere in considerazione il loro senso dello Stato, quello di rappresentare un’Istituzione che è un valore superiore ad altri. Sembrano parole fin troppo forbite, ma ricordiamoci che il concetto di Stato è già presente nell’antica Grecia e Platone già ne parlava nella Repubblica.

In ogni caso è arduo, se non impossibile, poter scegliere che possa essere definito il miglior presidente del consiglio. Epoche diverse, idee e contesti in continuo mutare ed evolversi. Situazioni economiche non solo locali, ma anche internazionali da dover fronteggiare, impediscono i paragoni. Se volessimo fare riferimento alla durata perlomeno nel dopoguerra, due dei Governi Berlusconi hanno quella più lunga del dopoguerra, seguiti dal primo governo Craxi e da quello di Matteo Renzi. Ma la grandezza di un politico è difficilmente misurabile in giorni, altrimenti si sminuirebbe il valore di uomini di valore, quali Ciampi, Fanfani, Andreotti, o anche Mariano Rumor che ricoprì la carica durante anni difficili come il 68 e il 69 ed era alla guida del paese il giorno della strage di Piazza Fontana.

Ma tra tutti i nomi di grandi presidenti del consiglio e uomini di Stato, passa stranamente inosservato e spesso dimenticato, Ferruccio Parri. Fu il presidente del consiglio dell’ancora Regno di Italia dal 21 giugno al 10 dicembre del 1945, raccogliendo la carica da Ivanoe Bonomi. Già antifascista e partigiano, si trovò catapultato alla guida di un paese che usciva devastato dal secondo conflitto mondiale. Il suo mandato resta probabilmente troppo breve per una valutazione più profonda, ma fu con lui che iniziò la lenta ripresa economica italiana. Di Lui Montanelli narra che, dopo aver assunto l’incarico, rimase chiuso per giorni al Viminale, avendo anche la carica di Ministro dell’Interno, per controllare una ad una tutte le pratiche di cui si occupava il dicastero, mangiando solo pane e salame e dormendo su una branda da campo.

L’esatto contrario del penultimo “inquilino” del Viminale, Salvini. Questo episodio è significativo di che cosa si possa intendere per uomini di Stato o che abbiano un senso delle istituzioni; cosa che sempre meno si vede nelle nuove generazioni.

Parri ebbe una lunga successiva carriera politica, macchiata forse solo dalla firma sulla Lettera aperta all’espresso sul caso Pinelli, documento che è indicato come possibile concausa dell’omicidio Calabresi e da cui molti firmatari in seguito si dissociarono o dimenticarono di avere firmato. Sembra che fu comunque Parri a scrivere il famoso “Comunicato della vittoria”, poi firmato da Diaz nel 1918, ed a lui è attribuita anche la definizione di “macelleria messicana” per definire ripugnante lo spettacolo dei corpi di Mussolini, della Petacci e degli altri gerarchi appesi a Piazzale Loreto. Anche da questo, dal rispetto dell’avversario, si dimostra la grandezza di un uomo politico e delle istituzioni.

In ogni caso Parri assunse la carica di Primo Ministro in uno dei periodi più tristi della storia Italiana ed in cui la politica parlava un altro linguaggio, e si doveva confrontare con altri giganti come Togliatti, De Gasperi, Nenni. Oggi questi nomi asfalterebbero i piccoli masanielli e urlanti capipopolo che abbiamo.

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