La Brexit di Boris Johnson

Theresa May, malgrado le abbia provate tutte in un paese spaccato prima tra ‘leave’ e ‘remain’, poi tra ‘deal’ e ‘no deal’, ha dovuto prendere atto che non c’era nessuna possibilità di trovare un punto d’incontro tra le diverse anime presenti in Parlamento. Dopo le sue dimissioni, gli iscritti al Partito conservatore hanno votato varie volte stringendo infine la rosa a soli due candidati. I 159.320 voti sono stati divisi tra Boris Johnson con 92.153 voti (57,84%) contro i 46.656 andati al rivale Jeremy Hunt.

Cosa cambia passando dalla signora May ad un ultra-falco come Johnson che ha come motto “Brexit o morte, qualunque cosa accada”? Il neo-premier gode della maggioranza dei voti conservatori, ma non di una base popolare solida e allineata, ma anzi attraversata da forti divisioni sul tema del contendere, la brexit stessa. Abbiamo già illustrato in numerosi articoli del passato i disastrosi effetti di una brexit ‘no deal’ sul Regno Unito, dati che da sempre sono pubblicati in tutti gli outlook degli investitori. Dai 39 miliardi spesi in beni esteri dai cittadini di sua maestà e che dovranno essere saldati per chiudere con la UE il conto del Target 2, ad una logistica che vedrebbe 10.000 tir inglesi obbligati a fare dogana a Calais.

Dato che il governo inglese ha in mano tutti i dati e le proiezioni relative ad una uscita disordinata dalla UE, i proclami di Johnson possono fare ipotizzare che, come da alcune dichiarazioni già rilasciate in merito, il premier inglese cerchi di arrivare ad un accordo migliore con la Commissione rispetto a quello ottenuto da Theresa May. Juncker e Barnier sono stati categorici nell’affermare che l’accordo non si cambia, difficilmente la nuova Commissione cambierà la linea tenuta finora. Le roboanti dichiarazioni di uscita comunque il 31 ottobre ad ogni costo hanno fatto crollare la sterlina ai minimi del 2017, appare probabile un taglio dei tassi e un notevole incremento della spesa pubblica per sostenere l’economia inglese in caso di brexit no deal, ma basterà tutto questo? Una forte spesa sociale servirà per calmierare i disagi che caleranno sulla popolazione, con una logistica bloccata, dazi alle frontiere, costi burocratici finora sconosciuti. Intanto la Camera dei Deputati ha votato un testo che impedisce a Boris Johnson di poter fare una brexit senza accordo saltando il parere obbligatorio del Parlamento. Da qui una eventuale terza via fra accordo e ‘no deal’, che vede le elezioni anticipate per disarmare il voto parlamentare.

Nel paese di James Bond non poteva mancare l’operazione segreta, anche il nome è romanzesco, Operation Yellowhammer è il nome del rapporto ultra-segreto che qualche ‘scontento’ all’interno del governo inglese ha fatto recapitare sulla scrivania del Sunday Times. In realtà nulla di nuovo, ma la conferma che gli scenari apocalittici descritti dagli analisti corrispondono al vero e sono a conoscenza del governo di sua maestà. Alla scarsità di generi alimentari d’importazione e medicinali, ci sarà da aggiungere la questione irrisolta del backstop, il confine tra Irlanda del Nord inglese e Irlanda repubblicana e dentro la UE. Poco credibile la dichiarazione del neo-premier secondo cui “non ristabiliremo mai controlli o infrastrutture fisiche al confine“. Un’affermazione basata su presupposti inesistenti, in caso di nessun accordo il Regno Unito diventerà a tutti gli effetti un paese terzo e la creazione di barriere e dogane al confine sarà inevitabile per garantire le frontiere esterne dell’Unione.

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