Cronache dai Palazzi

Il “governo del cambiamento” sembra avviarsi verso il declino. Una crisi extraparlamentare annunciata in quanto, nella pratica, gli azionisti della maggioranza non sono più tali ormai da diversi mesi.

Una delle due forze della maggioranza ha esplicitamente annunciato di non sostenere più il governo dopo la clamorosa spaccatura in Senato sulla Tav. Recandosi a Palazzo Chigi, Matteo Salvini ha dichiarato la propria sfiducia al premier Conte. “La maggioranza non esiste più”, occorre rendere la parola agli elettori. Prima di andare alle urne Luigi Di Maio chiede comunque di votare il taglio di 345 parlamentari.

Il premier Conte avverte il “passaggio doloroso” e in questo frangente sottolinea che “il Parlamento è sovrano”. Occorre recarsi in Parlamento, la crisi non può essere declamata da un singolo ministro. Per Conte presentarsi alle Camere è doveroso anche per spiegare al Paese le vere ragioni della crisi. In sostanza Giuseppe Conte chiede esplicitamente che la crisi sia parlamentarizzata: “Per correttezza istituzionale la crisi si porta in Parlamento, sarà la più trasparente della storia repubblicana”, ha dichiarato il premier.

I tempi così si allungano perché le Camere sarebbero ormai chiuse per ferie, tantoché il presidente della Camera Roberto Fico è salito al Quirinale per discutere con il presidente Mattarella di una eventuale riapertura delle Camere nel bel mezzo del mese di agosto. La prossima settimana una riunione dei capigruppo dovrebbe decidere la convocazione dei parlamentari e il dibattito potrebbe essere rimandato a fine agosto. Per di più se si decidesse che la crisi fosse preceduta dalla discussione della legge sul taglio dei parlamentari – come proposto da Luigi Di Maio – si dovrebbe attendere il 9 settembre, data in cui è previsto il voto definitivo.

Su un altro fronte, per l’Europa l’Italia dovrebbe avere un governo entro il 15 ottobre che dovrebbe essere il termine ultimo per trasmettere a Bruxelles il documento programmatico di bilancio. “Non è stata una sfiducia sull’operato del governo”, ha riassunto Conte, bensì si tratta di “un passaggio doloroso e sofferto”. Un’agonia che in effetti perdurava da più giorni (forse mesi), e una situazione che magari poteva essere risparmiata al Paese dati i diversi punti di non convergenza tra M5S e Lega.

Sembrava che almeno sulle fondamenta M5S e Lega fossero d’accordo, anche solamente in virtù del ‘contratto di governo’ sul quale avevano fondato la loro unione fin dall’inizio. Sembrava che tutto potesse fermarsi alle liti verbali, ai pungenti e molte volte velenosi commenti reciproci, e invece si è arrivati a dichiarare la crisi con sullo sfondo l’incognita dei mercati finanziari e il Colle ormai proiettato verso un eventuale scioglimento delle Camere. In bilico le variabili giudiziarie, pensionistiche, salariali in virtù delle quali l’esecutivo gialloverde si era dichiarato pronto a portare a termine la legislatura accompagnando l’Italia verso l’uscita del tunnel nel quale si trova purtroppo da diverso tempo.

Effetti collaterali scoppiati a colpi di tweet e di dirette Facebook hanno invece provocato la rottura, distruggendo un’alleanza che sembrava vocata al “cambiamento”. Alla fine si è tornati ai soliti giri di Palazzo. Nel frattempo il governo dovrebbe indicare anche il proprio candidato alla Commissione europea e se la scelta appariva problematica in un clima più o meno disteso figuriamoci ora che il mare è piuttosto agitato.

Con una maggioranza deteriorata, o comunque di emergenza, l’Italia di certo faticherà a far riconoscere le proprie ambizioni (o necessità) in sede europea, tra cui il “portafoglio economico di primo piano” citato dal premier Conte durante l’incontro con la presidente Ursula von der Layen ricevuta la settimana scorsa a Palazzo Chigi.

Più che affrontare i problemi del Paese ora i due ex azionisti della maggioranza sembrano intenti a preparare, ognuno per sé, la propria campagna elettorale proiettati verso un autunno di fuoco in cui resta comunque da affrontare la famigerata manovra finanziaria, che richiamerà chi è di turno a dover mettere nero su bianco la dura analisi costi benefici. Chiunque vincerà dovrà occuparsi della legge di Bilancio e anche in un arco di tempo piuttosto breve; dovrà patteggiare con la Commissione europea discutendo di parametri da rispettare, o eventualmente da ammorbire.

Il probabile varo di un “governo elettorale” (ossia non tecnico ma senza esponenti di partito) che conduca il Paese al voto in autunno sembra essere l’opzione più plausibile data la non possibilità di coalizioni alternative. In definitiva, urne e manovra sembra essere il doppio binario annunciato del prossimo autunno politico italiano.

Il presidente Sergio Mattarella ha infine promulgato il decreto Sicurezza bis tanto voluto dalla Lega ma mettendo in rilievo “due rilevanti criticità”,  tra cui l’obbligo dei naviganti di salvare vite umane in mare. “Al di là delle valutazioni nel merito delle norme, che non competono al Presidente della Repubblica, non posso fare a meno di segnalare due profili che suscitano rilevanti perplessità”, ha scritto Mattarella in una lettera inviata ai presidenti delle Camere e al premier Conte, “rimettendo – come si legge alla fine della missiva –  alla valutazione del Parlamento e del Governo l’individuazione dei modi e dei tempi di un intervento normativo sulla disciplina in questione”.

La prima riflessione del presidente della Repubblica riguarda l’ammenda amministrativa che può raggiungere un milione di euro per chi salva i migranti in mare. Mattarella rileva che rispetto al decreto legge originario firmato a giugno la sanzione amministrativa pecuniaria eventualmente da applicare è stata aumentata di ben 15 volte nel minimo e di 20 nel massimo, trasformandosi in effetti in una pena sproporzionata. In sostanza il decreto non rispetterebbe “la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti” Le nuove norme non sembrano distinguere “la condotta concretamente posta in essere” né “la tipologia delle navi”.

Mattarella rileva inoltre l’obbligo di rispettare i trattati internazionali, tra cui la convenzione di Montego Bay – citata anche dal decreto Salvini – per cui “ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”. In sostanza occorre rispettare l’obbligo di salvare le vite umane.

La seconda criticità riguarda la parte che si occupa delle manifestazioni e dell’ordine pubblico, dato che l’articolo 16, lettera b, del decreto non specificherebbe una eventuale gradazione dell’ammenda per quanto riguarda ipotesi di resistenza, violenza e minaccia o oltraggio a pubblico ufficiale “quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni”. In pratica il decreto renderebbe inapplicabile la causa di non punibilità per la “particolare tenuità del fatto”.

Sarebbero annoverati tra i pubblici ufficiali varie tipologie di funzionari ma non i magistrati, come sottolineato dal presidente Mattarella. “Non posso omettere di rilevare che questa norma – assente nel decreto legge del governo – non riguarda soltanto gli appartenenti alle forze dell’ordine ma include un ampio numero di funzionari pubblici, statali, regionali, provinciali, comunali”, tra i quali, ad esempio, anche i controllori dei biglietti Atac, i direttori di ufficio postale, gli insegnanti delle scuole. Il presidente Mattarella sottolinea quindi che “questa scelta legislativa impedisce al giudice di valutare la concreta offensività delle condotte poste in essere, il che, specialmente per l’ipotesi di oltraggio a pubblico ufficiale, solleva dubbi sulla sua conformità al nostro ordinamento e sulla sua ragionevolezza nel perseguire in termini così rigorosi condotte di scarsa rilevanza e che, come ricordato, possono riguardare una casistica assai ampia e tale da non generare allarme sociale”.

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