Buttigieg, il Democratico anti Trump?

Se arrivasse nella stanza Ovale, il candidato democratico Pete Buttigieg sarebbe il più giovane e il primo omosessuale a diventare Presidente americano. Il sindaco intellettuale spacca nei media e spera fare lo stesso nei sondaggi.

Il suo cognome è quasi impronunciabile per gli americani che preferiscono chiamarlo “Mayor Pete”. Pete Buttigieg (“Boud-edgedge” secondo il diretto interessato) è il beniamino del momento tra i candidati democratici alle primarie del 2020. Non tanto per quello che riguarda le intenzioni di voto – che sono passate dall’1% di metà Marzo al 5% di inizio Aprile, per una media che sta intorno al 2,9%, secondo diversi sondaggi (realclearpolitics.com) – ma per la rapidità con la quale è riuscito ad occupare il terreno mediatico. Sconosciuto ancora qualche settimana fa, il sindaco della piccola città di South Bend, nell’Indiana, si pone ormai nella top 5 dei potenziali candidati, secondo osservatori della corsa alla Casa Bianca. Il suo vero primo momento di gloria l’ha avuto lo scorso 10 Marzo, durante un incontro pubblico organizzato dalla CNN. Camicia bianca, cravatta colorata: l’uomo ha sorpreso la sua audience per il suo stile informale, il suo lato realista, il suo spirito vivace e la sua freschezza – ha appena 37 anni. David Axelrod, ex consigliere di Barack Obama, in un Tweet ha detto che “aveva raramente visto un candidato utilizzare al meglio” il format “town hall”, formula con la quale i candidati vengono interrogati dai cittadini. La sua mancanza di esperienza politica può essere un problema? A questa domanda del pubblico, Pete Buttigieg ha risposto semplicemente indossando la veste di sindaco di una piccola cittadina di 100.000 abitanti: “saremmo meglio lottizzati se Washington assomigliasse di più alle città meglio gestite del Paese!”. Applausi. “Non si è mai vista una città fare shutdown  in caso di disaccordo politico”, ha detto in tono canzonatorio riferendosi alla chiusura delle amministrazioni federali decisa dal Presidente Trump lo scorso Dicembre. La sua performance fu talmente convincente che aveva già raccolto 600.000 dollari da parte di 22.000 donatori 24 ore dopo l’essere andato in onda.

Da allora continua ad intrigare i media a colpi di riunioni e interventi degni di nota. Nel primo trimestre del 2019, è riuscito a raccogliere 7 milioni di dollari, poco dietro ai suoi competitor Bernie Sanders (18,2 milioni), Kamala Harris (12 milioni) e Beto O’Rourke (9,4). Una performance sorprendente per un candidato che non ha alle spalle alcuna “macchina politica”. “E’ ovunque, autentico, interessante e per niente scontato nei suoi messaggi – cosa che lo rende il preferito dei media e fonte di curiosità per gli elettori”, ha affermato la stratega democratica Christy Setzer al sito politico The Hill. Il suo profilo erudita piace molto ai progressisti. Entrambi i suoi genitori erano professori universitari. Suo padre, arrivato da Malta negli anni ’70, era il traduttore ufficiale dei testi di  Antonio Gramsci. La madre era linguista. Lui stesso è laureato ad Harvard con tanto di bacio accademico. E’ anche passato da Oxford dopo aver vinto la prestigiosa borsa di studio Rhodes. Solo 32 candidati, i migliori, hanno questa opportunità ogni anno negli Stati Uniti. Parla sette lingue, tra le quali il norvegese che ha imparato da solo. E come se non bastasse sa suonare il pianoforte e la chitarra. Di che incollarsi l’etichetta di intellettuale, cosa rara tra i candidati alla Presidenza. Tra i suoi libri preferiti, “Ulysse”, di James Joyce, è in prima posizione. Qualcuno ha ironizzato che per questo motivo sarà difficile che vinca, in riferimento alla ermeticità del capolavoro irlandese.

Pete Buttigieg è difficile da classificare. La sua bozza di programma è abbastanza progressista: appoggia la riforma sulle armi da fuoco, vuole agire sul cambiamento climatico e per i diritti dei trans gender. Sostiene anche l’dea di un’assicurazione sanitaria pubblica universale, spera abolire il collegio elettorale e riformare la Corte suprema. La sua grande idea è la “giustizia tra generazioni”: per lui, le nuove generazioni  sono  vittima della visione a breve termine dei più anziani sul clima e sull’economia. Ma sono proprio le sue “radici del Midwest che possono aiutarlo” a convincere chi sta al di là del campo democratico, scommette Constance Mixton, politologa all’Elmhurst Collge di Chicago e specializzata nella bi polarizzazione della vita politica americana. “Pete Buttigieg è il sindaco di una cittadina post-industriale in uno Stato conquistato da Obama nel 2008 e da Trump nel 2016. Può attirare elettori che si sentono abbandonati dai politici nazionali e da un’economia mondializzata”, afferma la politologa in un’intervista concessa a France24 e durante la quale definisce il candidato come “potenziale antidoto a Trump”. Buttigieg è anche un veterano della Navy rispettato e che ha servito il suo Paese per sette mesi in Afghanistan. Cosa che forse gli attira le simpatie di una parte dei Repubblicani. Il commentatore conservatore Ben Shapiro l’ha definito “simpatico e fresco”, salutando positivamente dal sito di Politico la sua volontà di rivolgersi a coloro che non sono del sua campo politico. Il repubblicano Newt Gingrich ha avvisato i suoi compagni di prestare attenzione a questo novellino che potrebbe essere “l’outsider sconosciuto che vince grazie alla sua autenticità”. La direttrice della campagna di Pete Buttigieg ha d’altronde annunciato a Politico che il candidato sarebbe presto apparso nei media “che i democratici tendono di solito ad ignorare”. Il messaggio: rispettare l’avversario, anche se non si è d’accordo con lui”.

Sulla religione, della quale parla senza complessi, la relazione con i conservatori si fa più complessa. Pete Buttigieg accusa gli evangelici di essere moralizzatori “ipocriti” perché usalo la loro fede per giustificare il voto a Donald Trump. Ora quest’ultimo è coinvolto in scandali sessuali e rivendica la linea dura nei confronti dei migranti. Per Buttigieg, i Vangeli incitano al contrario a “proteggere lo straniero, il prigioniero, il povero”. Buttigieg chiede ai Democratici di non lasciare alcuno spazio ai Repubblicani sul tema della fede e dei valori, perché, come scrive l’editorialista Jennifer Rubin sul Washington Post, “non solo perché Trump è un essere sordido, ma perché le politiche portate dai democratici sono in sintonia con le nostre più profonde tradizioni religiose”. Il fatto che faccia parte degli episcopali (un ramo moderato del protestantesimo) disturba alcuni commentatori evangelici che hanno già cominciato ad bollarlo come “finto cristiano”. Per aggiungere disagio ai più intolleranti, Pete Buttigieg è omosessuale. Ha fatto il suo coming out nel 2015. Suo marito, Chasten Glezman, è professore in una scuola montessoriana. “Mi piacerebbe che tutti i Mike Pence del mondo possano capire che…se avete un problema con quello che sono, il vostro problema non è con me, ma con il mio creatore”, ha affermato all’inizio di Aprile, in riferimento alla nota omofobia del vicepresidente americano. Una freddura che non passa inosservata in un Paese dove religione e identità sono diventati temi fondamentali.

Dieci anni fa, un sindaco apertamente gay di una piccola cittadina del Midwest non sarebbe mai stato preso sul serio se avesse annunciato la sua candidatura alla Casa Bianca. Come sottolinea Constance Mixton “il fatto che faccia parte dei concorrenti oggi è la prova del cambiamento epocale e demografico che sta avvenendo negli Stati Uniti”.

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