UK, la negazione della democrazia

Quando scrivevo la nota apparsa ieri su queste colonne a proposito delle tormentate vicende della Brexit, la consultazione online a favore di una decisione di rimanere nell’UE aveva avuto più di un milione di Sì. Nel fine settimana, questa cifra è salita a quasi quattro milioni e mezzo. E sabato scorso, una marcia a Londra ha visto una partecipazione di centinaia di migliaia di persone (alcuni dicono un milione) che chiedono un nuovo referendum.

In condizioni normali, un movimento popolare di queste dimensioni imporrebbe a Governo e Parlamento il dovere di  ridare la parola al popolo con una nuova consultazione. Ma allo stato attuale è difficile, quasi  impossibile, che ciò accada. La Signora May è ostinatamente arroccata sulle sue posizioni pro-brexit e del resto il suo stesso Governo è diviso su tutto. Nel Parlamento – pur se sulla carta è obbligato a esaminare una petizione popolare che superi i centomila aderenti – non esiste una maggioranza possibile per un nuovo referendum. Non che non ci siano deputati favorevoli, specie tra i  laburisti ed anche, in misura minore, tra i Tory ma, a parte il gruppo di fanatici antieuropei felici di accettare un’uscita senza accordo, molti deputati eletti in collegi che nel referendum votarono a maggioranza per l’uscita, sono obbligati a mostrarsi e votare pro-brexit, tanto conservatori quanto laburisti (anche questi ultimi sono divisi e la linea del leader, Jeremy Corbyn, è perlomeno ambigua).

È un chiaro esempio di calcoli personali o di partito che prevalgono di gran lunga sulla  considerazione degli interessi nazionali e spingono anche a una vera e propria negazione del diritto del popolo di esprimersi nuovamente su una questione di così enorme importanza. È triste, specie per un paese di antica ed esemplare  democrazia. Se i Comuni rigettassero per la terza volta l’accordo  negoziato dalla May, o lei decidesse di non chiedere un terzo voto per paura di perderlo, forse il Parlamento prenderebbe in mano, con una serie di voti indicativi, la determinazione dei futuri rapporti con l’UE entro i vari modelli possibili, ammesso che si possa  creare a questo riguardo una maggioranza magari trasversale.

Resta poi sempre la possibilità che il terzo voto sia svolto su una mozione che, accettando l’accordo, preveda che sia sottoposto a un referendum popolare nel quale sia data l’alternativa di restare nell’Unione, secondo una proposta laburista. Ma anche questa soluzione pare improbabile: Governo, Partito conservatore (e in una certa misura i laburisti) temono come il diavolo un nuovo voto popolare, che potrebbe mostrare il rigetto della gente per questa classe politica, e faranno di tutto per opporvisi.

Insomma, stiamo assistendo senza poter fare nulla alla negazione dei principi basici di una democrazia avanzata.

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