L’ipocrisia del Politically Correct

Il capitano Achab è sicuramente uno dei personaggi più complessi e inquietanti della letteratura non solo americana. La descrizione del comandante della Pequod, la baleniera su cui si svolge la vicenda della caccia a Moby Dik però, oggi si limiterebbe da parte di molti alla semplicistica definizione di un uomo non Politically Correct. Come altro descrivere, infatti, un uomo che vuole in maniera maniacale, la morte di una balena? Che comunque nel libro è un capodoglio.

L’espressione “politicamente corretto” in italiano è usata come aggettivo sostantivato mentre in inglese è un sostantivo: political correctness e da qui nascono alcune difficoltà non solo di comprensione, ma di applicazione in concreto. Nella sua più comune accezione l’espressione viene usata per designare una linea di pensiero, una condotta o un atteggiamento sociale di estrema attenzione al rispetto di determinati contesti e situazioni, soprattutto per evitare qualsiasi forma di offesa verso categorie di persone, il loro pensiero, i loro gusti. Qualsiasi idea o condotta in deroga più o meno aperta a tale indirizzo appare quindi, per contro, politicamente scorretta (politically incorrect).

Nasce per risolvere problemi principalmente definitori, per determinar un linguaggio che tenesse conto delle sensibilità altrui, ma nella sua applicazione concreta è divenuto un’imposizione usata per imporre le proprie posizioni in nome di una supposta superiorità morale, fino a degenerare nella vera e propria ipocrisia.

Non stiamo parlando di razzismo: non voler affittare un immobile a un musulmano o a una copia gay, o non voler assumere un cameriere negro è razzismo allo stato puro, ma anche qui dobbiamo stare attenti per evitare di essere tacciati che il termine scelto sia politically incorrect.

Il Politically Correct viene però ormai utilizzato ad ogni livello, da chiunque abbia un’opinione preferibilmente minoritaria, per ergersi a paladino della sua ideologia, spesso per evitare il normale confronto o dibattito o, più semplicemente, per non dover ammettere di essere senza argomenti sulle proprie posizioni.

L’utilizzo di una terminologia Politically Correct è entrato nel quotidiano ad iniziare dal giornalismo fino a livello normativo non è stato possibile evitarlo, senza però tenere presente che l’uso di un termine diverso non risolve il problema di fondo. Esempi? Vietato dire clandestino o extracomunitario; si parla solo di migranti o richiedenti asilo. Assolutamente proibito parlare di handicappati; sono diversamente abili. Tuttavia non incide sul problema bensì, a dire dei più, sulla creazione di una diversa sensibilità. Ciò però non toglie che l’operatore ecologico e l’operatore scolastico svolgono le stesse mansioni di uno spazzino e di un bidello.

Non siamo probabilmente distanti dalle forme di autarchia che, in pieno regime fascista, volevano italianizzare le parole straniere che erano ormai patrimonio comune. Il viveur divenne vitaiolo e il tabarin tabarino. Per chi non lo ricordasse il tabarin è l’antenato di quello che chiamiamo Night e che, onestamente, chiamarlo “notte” avrebbe anche un senso di macabro. In ogni caso l’italianizzazione delle parole non ebbe un grande successo e, a parte il caso di Renato Rascel, cui fu imposto di cambiare il nome d’arte in Rascele, il cachet e il bidet, furono continuati a essere chiamati con il loro nome invece di quelli italianissimi di cialdino e cavallino (o bidetto).

Ricordi nostalgici a parte, il problema del Politically Correct, anche in diverse sfaccettature, è l’uso strumentale e demagogico che ne viene fatto oggi da molti in troppe situazioni. E non si parla solo di politica in senso stretto: dal vegano che si trincera sulle sue credenze che non vuole siano attaccate per poi definire specisti e assassini coloro che mangiano carne, fino al taggarolo che sporca un muro sostenendo il proprio diritto alla libertà di espressione e definisce fascista chiunque osi criticarlo.

E non è questo atteggiamento la base di movimenti che, presentandosi con le migliori intenzioni, sono di fatto, negazioni delle libertà altrui? La nostra costituzione parla di tutela delle minoranze. Il rischio è quello che, per essere Politically Correct, se ne diventi schiavi o ostaggi.  Ma poi chi è in grado di definire che cosa sia o non sia corretto?

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