Strasburgo, il vuoto davanti a Conte

La cornice è quella del Parlamento europeo di Strasburgo, in occasione della sessione plenaria – e ribadiamo plenaria – indetta periodicamente dall’assemblea comunitaria con i leader dei Paesi membri sul tema del futuro dell’Europa.

La tela, però, è incompiuta. In genere, la presenza è massiccia, ma al discorso del premier italiano Conte la platea dei deputati in aula è stata piuttosto risicata e anche poco interessata. A parte il belga Guy Verhofstadt, a capo dei liberali europei dell’Alde, che ha trovato il tempo e sfoggiato un discreto italiano per tacciare Conte di essere il burattino del duumvirato Salvini e Di Maio.

C’è dell’astio nell’aria, non ultime le questioni del pollice verso sulla Tav Torino-Lione e l’astensione dal riconoscere Guaidò, secondo la posizione assunta dal resto dell’UE, legittimo presidente del Venezuela – con l’accusa di essere sotto pressione da parte dell’amico di Roma Putin – pur sostenendo il nostro esecutivo la necessità di arrivare quanto prima a nuove elezioni democratiche. Ma c’è soprattutto il problema dei migranti: Conte lo ha detto chiaro e tondo, quelli italiani non possono essere considerati gli unici porti sicuri nel Mediterraneo. I confini italiani sono confini europei, l’emergenza va affrontata a livello comunitario con un sostegno proporzionale agli sforzi profusi in campo.

Il primo ministro italiano ha centrato il discorso sul rilancio di un disegno europeo, ad oggi allontanatosi dalle popolazioni per rispondere a logiche di carattere economico-finanziarie, tradendo la mission originale dei padri fondatori, che possa ritornare alla formazione del cittadino europeo e alla presa in carico dei suoi bisogni e di una crescita omogenea fra i Paesi membri, senza fanalini di coda.

A tal proposito, Conte ha replicato a Verhofstadt di non sentirsi affatto un burattino, semmai lo sono coloro asserviti a lobby, elite e comitati d’affari. Puntuali sono giunte da parte di Salvini e Di Maio, quest’ultimo criticato per gli incontri con alcuni tra gli esponenti più facinorosi in seno al composito movimento popolare francese dei gilet gialli, richieste di scuse immediate agli insulti mossi, tra l’altro, da un capogruppo politico che non ricopre alcuna carica di rappresentanza istituzionale nel suo Paese.

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