Il poker coreano

Ho sempre pensato e scritto che il gioco, peraltro indubbiamente pericoloso, del dittatore nord-coreano, era in fin dei conti mosse di un poker enorme. Non bleffava del tutto quando diceva di avere capacità nucleari, ma sì quando minacciava di utilizzarle, sapendo benissimo che avrebbe così provocato un risposta americana terrificante. Se Trump alla fine è disposto a concedergli qualche vantaggio politico od economico, si può dire che il bluff è in qualche misura riuscito, anche contro un avversario altrettanto spericolato e agguerrito, che per di più ha in mano tutte o quasi le carte vincenti.

Il poker ha ripreso nei giorni scorsi, con tonitruanti dichiarazioni delle due parti e la solita sceneggiata del “reggetemi, altrimenti lo meno”,  dietro la quale non era difficile però leggere la volontà di andare avanti in un dialogo che conviene ad ambedue. A Kim, se in cambio di una rinuncia a strumenti nucleari tutto sommato inutilizzabili, può ottenere riconoscimento politico e  vantaggi economici. A Trump, se riesce a disinnescare una bomba di cui potrebbe a un certo momento perdere il controllo senza dover ricorrere all’uso di una forza che ha comunque sempre un alto costo politico.

Ora pare che, accantonati i toni bellicosi,  due Coree terranno il previsto summit il 1 giugno e i preparativi per l’incontro Trump-Kim sono ripresi. Andrà finalmente tutto liscio? Vedremo. Il guaio dei bluff è che a un certo punto possono prendere la mano e portare al disastro anche giocatori esperti. Il gioco resta in mano a due personaggi imprevedibili, a cui c’è solo da sperare che non faccia in ultima analisi difetto la qualità essenziale di ogni politico: il realismo.

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