Bandiere bruciate e mani insanguinate
Era prevedibile: la sciagurata decisione di Donald Trump di spostare l’Ambasciata USA da Tel Aviv, una volta concretamente realizzata, ha provocato manifestazioni di fiera protesta a Ghaza e altrove ed è già costata 52 morti e più di 1600 feriti. Siamo chiari: questo sangue ricade interamente sulle mani del Presidente degli Stati Uniti. Lo scrivemmo a suo tempo e lo scrisse buona parte della stampa mondiale: la decisione di Trump non aveva nessuna giustificazione né giuridica né politica e meno ancora di tempi.
Il conflitto israelo-arabo dura da più di settant’anni ed è tra i più ardui e complessi della Storia e lo status di Gerusalemme ne rappresenta uno dei nodi più intricati. Di tutto ha bisogno fuorché di qualcuno che getti inutile benzina sul fuoco. Facendolo, Trump non ha fatto che allontanare ancora di più ogni speranza di soluzione e rendere gli Stati Uniti un mediatore inaffidabile e rigettato da una delle parti. Perché lo ha fatto? Per obbedienza ai propri pregiudizi, al fanatismo di Netanyahu. Per conformarsi ai postulati più stantii della destra repubblicana. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Ma lo stesso ha fatto Trump con l’accordo sul nucleare iraniano: un accordo imperfetto, senz’altro, ma comunque un principio di soluzione per una problema rischiosissimo, una soluzione a cui avevano lavorato con tenacia le diplomazie dell’Europa, della Russia e degli stessi Stati Uniti. In questo caso, oltre a obbedire ai pregiudizi più retrogradi della destra, Trump ha ceduto al suo radicato odio verso Obama e al suo folle desiderio di cancellare tutto quanto questi ha fatto e rappresenta. E di nuovo è tornato il triste e terribile spettacolo delle bandiere americane bruciate, non più soltanto da folle di fanatici, ma in un Parlamento nazionale, come quello di Teheran, dove pure non prevalgono più gli estremisti alla Ahmadinejad.
Di fronte a tanta spregiudicata follia, c’è da chiedersi con angoscia: cosa fanno l’opposizione democratica, la stampa indipendente, l’establishment di Washington, non c’è nessuno che possa mettere un argine a questo fiume di pericolose insensatezze? Nessuno che possa frenare questa immensa debilitazione dell’immagine americana nel mondo?
E l’Europa, che deve fare l’Europa (quella che conta, Macron, Angela Merkel, Theresa May, non i vari Salvini)? In queste contingenze, le rimane solo da mantenere fermo un corso di sensatezza e rispetto degli impegni presi (pacta sunt servanda, anche se Trump pare ignorarlo), attenuare la l’ondata antioccidentale – che naturalmente Putin cavalca con gioia – e sperare che il peggio passi. Cercando di evitare di entrare in una rotta di collisione con Washington, che sarebbe il principio della fine.
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