Dazi USA, l’Europa non negozia sotto ricatto

Mentre si è concluso da qualche giorno uno storico vertice fra le due Coree, in cui i due presidenti Kim Jong-un e Moon hanno deciso di siglare la fine di una lunga ostilità, sancendo l’inizio di un processo di denuclearizzazione dell’intera penisola, Trump, impegnato nella sua dura politica di rinegoziazione degli accordi commerciali statunitensi con mezzo mondo, garantisce alla Unione Europea un altro mese per trattare, posticipando la data di scadenza della decisione sui dazi riguardanti alluminio e acciaio al 1° giugno prossimo.

La Casa Bianca ha annunciato l’estensione delle trattative, su cui incombono gravami impositivi pari al 25% per l’import di acciaio e al 10% per quello di alluminio, non solo per Bruxelles, ma anche per Messico e Canada, con cui gli Usa stanno ridisegnando l’accordo di libero scambio del Nafta.

Trump, molto attivo sul fronte della limitazione delle importazioni dall’estero per garantire nuovo slancio e protezione al prodotto interno, tramite una strategia aggressiva con cui ha sollevato dispute su tutte le relazioni commerciali con gli altri Paesi, sta ottenendo significativi risultati. Attaccare briga, puntando sul ben noto carattere irruento, per poi mediare al tavolo della trattativa agreement senza dubbio più vantaggiosi per l’America. Già portati a casa un accordo definitivo sull’acciaio con l’alleato di Seul e altri di massima con Brasile, Argentina e Australia, tutelando la produttività e la sicurezza nazionale.

Bruxelles, dal canto suo, replica che intavolerà negoziazioni col partner di lunga data americano, ma senza sottostare a minacce, auspicando – come comunicato dalla Commissione Europea – un “piano di lavoro transatlantico equilibrato e reciprocamente conveniente”.

La decisione dell’Amministrazione Trump di prorogare l’esenzione dall’aumento delle tariffe di importazione di alluminio e acciaio all’Unione Europea solo fino all’inizio di giugno sta influenzando negativamente le politiche aziendali delle imprese e diffondendo instabilità sul mercato. Bruxelles punta a una esenzione permanente. Le misure fiscali di Trump non possono essere giustificate dalla tutela della sicurezza nazionale.

Il deficit commerciale Usa con la Ue è passato dai 17 miliardi di dollari del 1997 ai 151 miliardi del 2017, con le importazioni manifatturiere dalla Germania a fare da protagonista. Qualche relazione, forse, con i recenti scandali sugli scarichi inquinanti della Volkswagen, sollevati su suolo americano?

Nelle ultime settimane, incluse visite di Stato a Washington, Macron, Merkel e May hanno lavorato in squadra per comporre la questione e addolcire le prese di posizione di Trump. Di fatto, però, l’eventuale ripetersi di brevi concessioni temporali, non farebbe che aumentare incertezze e tensioni.

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