Come un gatto in tangenziale (Film, 2017)

Uno dei punti più bassi del cinema italiano. Riccardo Milani, dopo il successo di pubblico riportato da Mamma o papa?, ripropone la coppia Cortellessi (sua moglie) – Albanese, per una nuova commedia sopra le righe, scritta male e realizzata peggio. Fanno meraviglia le candidature ai David di Donatello (per fortuna non concretizzate in vittorie) per Cortellessi, Albanese e Bergamasco, pure se del terzetto è proprio la non protagonista a cavarsela meglio. Ma un premio lo meritano gli sceneggiatori – addirittura quattro! – per aver scritto una storia improbabile che racconta l’amore adolescenziale tra due ragazzini figli di mondi diversi, modificata in un finale romantico in storia d’amore impossibile tra genitori separati.

Se il film fosse una farsa, niente di male, ci può stare tutto, ma siamo di fronte a un prodotto che avrebbe delle ambizioni, vorrebbe raccontare come siamo diventati, parlare di integrazione e periferie cittadine, fare la morale sul predicare bene e razzolare male. Ambizioni che cadono nell’imbarazzo più totale che provoca in uno spettatore consapevole una sceneggiatura irrisolta e retorica, ridondante di luoghi comuni e di penosi dialoghi che vorrebbero dare profondità alla materia. Albanese e Bergamasco sono i genitori ricchi e snob – di sinistra e di mentalità aperta – che fanno vacanze esclusive a Capalbio e non sopportano il caos; lui guarda film armeni con sottotitoli e di mestiere pensa progetti per migliorare la vita, lei coltiva lavanda in Provenza e parla francese, pure se è nata a Roma. Cortellessi è una trucidona che vive a Bastogi – piena periferia depressa – insieme a due grassone cleptomani e un marito violento (Amendola) che a un certo punto torna dalla galera. Assunto improbabile: la figlia di Albanese s’innamora del figlio della Cortellessi, mettendo in contatto due mondi lontani anni luce.

Da questo punto di partenza si sviluppa il film, con annessi e connessi di trucidate gratuite (mazzate sul parabrezza, dormite al cinema, tatuaggi cafoni) e snobismi eccessivi (Capalbio deserto, film armeni, moglie che parla francese…) per arrivare a un finale ancor più improbabile. Fotografia giallo ocra nei notturni e luminosa di giorno, fotocopia di tanti prodotti televisivi contemporanei, musiche buone, soprattutto la sigla finale di Renato Zero, soluzioni di regia e riprese discutibili, compreso un uso smodato del grandangolo. Interpretazioni sopra le righe che si perdono nella sciocchezza di dialoghi e situazioni, con citazione in negativo di una Franca Leosini nella parte di sé stessa.

La commedia all’italiana è morta, questa è la sola certezza che abbiamo, mentre autori come Milani e Cortellessi – non solo attrice, purtroppo – ne celebrano con inconsapevole leggerezza le tristi esequie. Un television movie che per l’occasione indossa le vesti di un irritante cafon movie.

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Regia: Riccardo Milani. Soggetto e Sceneggiatura: Riccardo Milani, Paola Cortellessi, Giulia Calenda, Furio Andreotti. Fotografia: Saverio Guarna. Montaggio: Patrizia Ceresani, Francesco Renda. Musiche: Andrea Guerra. Produttore: Lorenzo Mieli, Mario Gianani. Case di Produzione: Wildside, Sky Cinema. Interpreti: Paola Cortellessi, Antonio Albanese, Sonia Bergamasco, Luca Angeletti, Antonio D’Ausilio, Alice Maselli, Simone de Bianchi, Claudio Amendola, Franca Leosini.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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