Cronache britanniche

Londra – Storicamente un Paese con una società civile molto partecipe e critica verso le cause sociali, il Regno Unito è la culla delle ONG (Organizzazioni non governative) in Europa, con un numero che supera le 170.000 charity e un “giro d’affari” complessivo di oltre 26 miliardi di sterline. Tra queste sono in forte ascesa le organizzazioni ambientaliste, che secondo un recente studio condotto da EFN – Environmental Funders Network – hanno visto il numero dei loro attivisti e simpatizzanti crescere esponenzialmente a tal punto che un britannico su dieci ne fa parte o si è avvicinato alle loro cause.

Questi gruppi sono stati recentemente ispirati anche da un crescente sodalizio tra mondo corporate e terzo settore, che oggi rappresenta un “nuovo” modello di business capace di accrescere il peso economico e l’impatto sociale delle ONG e migliorare allo stesso tempo l’immagine di alcune multinazionali che certo non brillano per la loro propensione etica. Un esempio di queste partnership di scopo è quello tra Nature Conservancy e British Petroleum, quest’ultima artefice di uno dei peggiori disastri ambientali della recente storia. Tra gli altri partenariati che non sono passati di certo inosservati, c’è quello tra WWF e Coca-Cola nella campagna per salvare l’orso polare che ha visto le vendite della famosa “lattina rossa” moltiplicarsi superando quota un miliardo.

La collaborazione tra ONG ambientaliste, multinazionali e governo non è sempre così rosea però. Infatti, il recente piano del governo Cameron di tagliare gli incentivi e la riduzione delle tasse a favore delle rinnovabili ha suscitato l’ira degli esperti e dei movimenti ambientalistici. Secondo Greenpeace, il governo commetterà cosi un enorme suicidio economico, mettendo a rischio innumerevoli posti di lavoro nel settore e azzerando la possibilità delle piccole e medie imprese di attrarre investimenti. Inoltre, a parer di Elaine King, direttrice di Wildlife and Countryside Link, Cameron è venuto così meno alla sua promessa di guidare il governo britannico più verde di sempre. Nel tentativo di fermare l’aumento dei prezzi energetici, il PM ha difatti segnato un autogol elettorale, riconsegnando nelle mani dei partner di governo liberal-democratici guidati da Clegg un cospicuo potenziale bacino di “voti verdi”. Downing Street però sostiene che gli incentivi a favore delle rinnovabili hanno un peso sulle bollette delle famiglie di 112 sterline, ribadendo che il governo non è disposto a cedere un millimetro sulla questione. Alcuni dei più stretti collaboratori del premier però gli suggeriscono di fare un passo indietro per non scatenare la potente “onda verde” degli ambientalisti.

Certamente la rinomata capacità di mobilitazione inglese, unita a un crescente attivismo a difesa dell’ambiente, non potrà che irrobustire il ruolo di watchdog della società civile, aumentando la pressione su politici e multinazionali per una maggiore trasparenza sulle regole che governano lo sfruttamento delle risorse naturali e la protezione dell’ambiente. Il “movimento green” britannico si candida, di fatto, a essere un punto di riferimento per la lotta al climate change non solo nel Regno Unito ma anche in Europa.

©Futuro Europa®

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