Grandi manovre

Siamo, ovviamente, ancora in fase di grandi manovre postelettorali, prima che in qualche modo le linee del futuro si chiariscano. Ma quando parlavo di trionfalismi prematuri non mi sbagliavo poi troppo. Alla prova dei fatti, sia Di Maio che Salvini devono rendersi conto che conquistare un buon risultato elettorale non basta, se non si ha la maggioranza necessaria per governare.

Il leader grillino vede bene che il 32% dei voti non è sufficiente e occorre un’alleanza. Il capo leghista, a sua volta, si sta rendendo conto che la maggioranza relativa in Parlamento non  basta, tanto più che non gli appartiene in proprio. In proprio ha solo i parlamentari leghisti, cioè del terzo partito, non sufficienti per pretendere di dettare legge. Brunetta glielo ha ricordato con una certa bruschezza: Salvini è il leader della Lega, non del Centrodestra. Il richiamo serve probabilmente in questa fase soprattutto per ottenere per FI la presidenza del Senato, ma se Berlusconi e i suoi non vogliono scomparire come forza della destra moderata, dovranno puntare i piedi anche sull’alleanza di governo e, comunque, sul programma reale, quello concreto,  soprattutto in materia di Europa.

Il paradosso è che, tra i due schieramenti autoproclamatisi vincitori, è il terzo, quello perdente, a essere oggetto di desideri neppure troppo segreti. Se i vincitori non si mettono d’accordo, è insomma il PD che avrebbe in mano le chiavi del gioco. Lo sa, del resto, e si comporta da verginella virtuosa. La sola possibile apertura la indica l’affermazione che “non sarà sordo alle eventuali richieste di Mattarella”. Poiché non penso che possa fare da stampella a un governo Salvini, né entrare in un governo Di Maio, l’unica ipotesi verosimile è che permetta un governo 5 Stelle con l’appoggio esterno, sull’esempio dei socialisti spagnoli. Brunetta ha ragione nel dire che non si può  tenere il PD fuori del gioco. Non solo per i numeri in Parlamento, ma per la rete di appoggi di cui tuttora gode. Un PD che ricomponesse i rapporti con la sua vecchia base, sindacati compresi,  potrebbe dare molto filo da torcere a qualsiasi governo, specie di destra. D’altra parte, una linea non soltanto negativa i democratici dovranno pur sceglierla, se non vogliono nuove elezioni nella quali una loro rivincita pare davvero un sogno.

Intanto, se dovessi dare un voto in questa prima fase postelettorale, darei cinque a Salvini e almeno sette a Di Maio. Il candidato premier grillino si sta comportando meglio del suo rivale leghista. Cravatta a parte, si mostra istituzionale e rassicurante. Le cose che ha detto alla Stampa estera sulla nostra politica internazionale (in sostanza, permanenza nell’Unione Europea e nella NATO)  sono ben altrimenti serie che le smargiassate antieuropee di Salvini, il quale dichiaratemene guarda, in politica estera, a Putin.

Credo che, se si misurasse ora l’immagine dei due leader, Di Maio risulterebbe di gran lunga il più apprezzato. E che se si tornasse a votare, i 5 Stelle andrebbero anche al di là del 32% del 4 marzo.

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